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Pentalogo per sopravvivere alle bufale risorgimentali nell’anniversario dell’Unità d’Italia

Oggi cadono 160 anni dall’Unità nazionale. Pertanto Facebook e in genere internet sono invasi da contenuti prodotti da bufalari professionisti sul Risorgimento. In particolare, per noi meridionali, l’epopea garibaldina e l’annessione del Regno delle Due Sicilie sono le principali vittime di questa disinformazione che viaggia su slogan e citazioni preconfezionate.

Il pentalogo che segue è, tra serio e faceto, un piccolo strumento di autodifesa dalle principali e più comuni bufale.

I garibaldini alla battaglia del Volturno.

1. Il Regno delle Due Sicilie era il terzo stato più industrializzato al mondo.

Questo cavallo di battaglia del revisionismo neoborbonico è tra i più controversi anche perché molto difficilmente credibile.
È obiettivamente molto difficile sostenere che il Regno delle Due Sicilie fosse un Paese ricco e allo storico o all’appassionato, in fin dei conti, basta leggere i lavori sull’economia del regno prodotti dagli economisti napoletani del tempo per averne prova: Carlo Afan De Rivera (1779-1852), Matteo De Augustinis (1799-1845) e Ludovico Bianchini (1803-1871) sono solo i principali autori che lamentano le condizioni di inferiorità del regno borbonico rispetto al resto d’Italia e d’Europa.
È vero: industrie borboniche esistevano. Intorno a Napoli i casi principali erano lo Stabilimento di Pietrarsa, destinato alla costruzione di locomotive ferroviarie e motori per navi a vapore, il cantiere navale di Castellammare di Stabia, attivo almeno dal XVIII secolo, e piccoli stabilimenti creati da stranieri (per lo più inglesi) che lavoravano intorno l’unica e breve rete ferroviaria del regno. Altro ramo d’industria un minimo sviluppato era il tessile, con una importante fabbrica a Piedimonte Matese (CE), creata da industriali svizzeri.
In sostanza, si trattava di industrie statali, create e mantenute con fondi pubblici o di capitalisti stranieri, venuti nel regno per sfruttare la manodopera a bassissimo costo (un po’ come è accaduto nel XX e XXI secolo nei Paesi terzomondisti).

Quadro commemorativo della ferrovia Napoli-Portici

Il cosiddetto primato del terzo stato più industrializzato del mondo pare nascere nel 1972 in un libro intitolato 1860: crollo di Napoli capitale e desunto da un non meglio specificato riferimento all’Esposizione universale di Parigi del 1856, dove il regno borbonico sarebbe stato premiato, appunto, sul gradino più basso del podio del medagliere per sviluppo industriale. Come è noto, però, le Esposizioni universali non hanno mai avuto il medagliere come le Olimpiadi e il dato si risolve in una bufala: uno stesso sito revisionista, un po’ di tempo fa, dovette ammettere la cosa.

2. I Mille di Garibaldi mai avrebbero potuto conquistare un intero regno senza l’appoggio di Potenze estere (Gran Bretagna) e corruzioni dell’esercito napoletano.

È falso che i Mille di Garibaldi fossero solo 1.000. In Sicilia prima, e in Calabria e in Basilicata poi, Garibaldi ricevette ampi rinforzi da volontari locali, che affiancarono o sostituirono le prime camice rosse. Alla battaglia del Volturno, epilogo della spedizione, Garibaldi poteva contare su quasi 25.000 uomini.
Sospetti e accuse di tradimenti da parte dei generali napoletani nacquero già tra i contemporanei. In particolare, la condotta del generale Giuseppe Ghio (1818-1875), arresosi ai garibaldini senza combattere a Soveria Mannelli (CZ) il 30 agosto 1860, pur forte di 10.000 soldati, fece inarcare qualche ciglio. Effettivamente, la resa di Ghio è incomprensibile senza tenere conto delle insurrezioni liberali e pro-garibaldine che intanto erano sbocciate lungo il regno: in particolare, Ghio dovette tenere conto che a nord, in Basilicata, si era costituito un governo provvisorio filo-unitario il 18 agosto e una rivoluzione simile c’era stata, il 24 agosto, a Cosenza, per cui, anche se avesse sconfitto Garibaldi, il generale borbonico sarebbe finito schiacciato da più lati.

Reduci dei Mille in una foto del 1910.

Più recentemente, una teoria complottista ha spostato il focus su attori internazionali, in particolare la Gran Bretagna, che avrebbe avuto interessi nel rovesciare la monarchia borbonica. In realtà nell’Ottocento i britannici volevano mantenere lo status quo europeo. Poi, dopo la guerra di Crimea e la salita al potere del fronte liberale, videro sempre di buon occhio le rivoluzioni liberali. A livello popolare, Garibaldi e la sua impresa ricevettero grande simpatia: basta pensare che quando il nizzardo visitò Londra nel 1864 oltre cinquecentomila persone si riversarono in strada per vederlo! Ciononostante, seppure sia provato che molti inglesi inviarono sottoscrizioni per finanziare la spedizione garibaldina, le iniziative furono sempre private e mai pubbliche (il Parlamento inglese era in vacanza durante il maggio-agosto 1860), perciò non si può pensare che la Gran Bretagna, seppure favorevole, fosse il motore occulto della spedizione, come è stato brillantemente riassunto dalla storica Lucy Riall.

3. I briganti meridionali erano patrioti nazionalisti e per reprimerli ci furono milioni di morti.

Seppure immediatamente dopo l’Unità i fedeli borbonici si illusero di poter utilizzare le bande brigantesche per una controrivoluzione, anche al più ingenuo appassionato di Storia l’inconsistenza politica dei briganti appare chiara considerando il fallimento della spedizione Borjes: quando, negli ultimi mesi del 1861, Francesco II delle Due Sicilie lanciò il condottiero José Borjes (1813-1861) alla riconquista del regno avito, questi non solo trovò pochissimi a seguirlo, ma fu infine abbandonato dal vero capo brigante, il lucano Carmine Crocco (1830-1905), la cui attività si riduceva a rappresaglie contro i liberali dei paesi lucani, oltre le varie rapine e sequestri, incarnando la lotta brigantesca come quella guerra del povero contro il ricco su cui si sono scritti ampi volumi.
Va tenuto conto che la principale attività dei briganti post-unitari non era una romantica lotta in difesa del Trono e dell’Altare contro un invasore esercito piemontese (fosse non altro perché il primo corpo mandato a contrastare le bande furono le varie Guardie Nazionali dei paesi lucani, campani, pugliesi ecc.) ma una serie di crimini contro altri cittadini meridionali: per lo più, le bande sequestravano figli e parenti di persone ricche per chiedere il riscatto.

Briganti ottocenteschi.

Le principali vittime dei briganti, quindi, erano altri merdionali: e proprio i deputati e i senatori delle ex province borboniche furono i principali promotori della spietata Legge Pica, che autorizzò metodi di guerra per estirpare il brigantaggio dal Sud.
Falso anche il fantastico numero di morti. L’astronomica cifra del milione di morti pare trarre origine da un articolo di una rivista dell’epoca, La civiltà cattolica, la quale sosteneva, provocatoriamente, che il governo unitario aveva fatto più morti nel Mezzogiorno di quanti fossero stati i voti a suo favore nel Plebiscito. In realtà, è difficile dare una cifra precisa dei morti dell’epoca del brigantaggio perché è difficile legare indubbiamente ogni morte al fenomeno: un conto sono le condanne a morte e i caduti degli scontri, un conto sono i danni collaterali del fenomeno stesso. Ciononostante, nel decennio 1861-1870 gli storici parlano di 5.000 o 6.000 morti.

4. Prima dell’Unità dal Sud non si emigrava.

L’emigrazione preunitaria è tra i più negletti ambiti di studio della storiografia italiana. Sappiamo per certo che già da prima del 1860 da alcune regioni del Settentrione e del Mezzogiorno alcuni pionieri dell’emigrazione si lanciavano in Europa e, usando la Spagna come testa di ponte, nelle Americhe: dalla nostra Basilicata, i comuni di Maratea, Rivello e Nemoli furono i precursori dell’emigrazione degli stagnini (i cosiddetti calderari) già nella prima parte del XIX secolo. Ma si tratta di un periodo ancora tutto da studiare.
Tuttavia, il numero dei migranti dei primi anni dell’Ottocento non è minimamente sovrapponibile a quello degli ultimi decenni. Da questo dato reale i revisionisti hanno tratto una conclusione sbagliata: hanno legato l’evento storico dell’Unità con l’ondata migratoria in una relazione diretta di causa-effetto che, in realtà, nella Storia raramente esiste. Gli eventi storici, così come i più piccoli fatti della nostra vita, non hanno uno, ma molte cause.

Emigrati italiani a Ellis Island.

In più, tra l’Unità (1861) e l’impennata del dato migratorio (1880-1885) passano due decenni, e soltanto un errore pacchiano (o evidente malafede) può legarli, mentre è più vicino alla realtà supporre – semplificando – che fu la crisi agraria degli anni ’80 a causare l’esodo, il quale, comunque, va collocato nel più grande fenomeno delle migrazioni europee verso l’America.
E per ricordare che l’emigrazione fosse un fenomeno nazionale, va tenuto presente che la singola regione che ha dato più migranti tra il 1870 e il 1920 fu il Veneto…!

5. Dopo l’Unità d’Italia il Mezzogiorno è diventato più povero di prima.

Questo è semplicemente falso.
Viene spesso portato a prova uno studio degli economisti Daniele e Malanima del 2011. Questo studio, però, dice altro.

Dati di Daniele & Malanima; fonte: Wikipedia.it

Le due linee rappresentano l’andamento della crescita del Nord (viola) e del Sud (celeste). Come si vede, entrambi fanno registrare, nel lungo periodo, una grande crescita. Ma l’entità di questa crescita è nettamente diversa.
Mentre l’economia globale italiana aumenta il suo PIL-pro capite di tredici volte, quella ristretta del Sud lo fa di sole dieci volte. Un aumento deludente rispetto al Nord (cresciuto di sedici volte), ma pur sempre cospicuo e notevole in sé stesso, oltreché in linea con la media europea dello stesso periodo.
Riassumendo i dati e volendo dare una prima risposta alla domanda del titolo, dopo l’Unità d’Italia il trend dell’economia del Mezzogiorno è stato segnato da un lento, sebbene pressoché costante, miglioramento rispetto al Mezzogiorno del passato ma da una altrettante costante perdita di terreno rispetto al Settentrione contemporaneo.
La crescita strepitosa dell’Italia settentrionale è iniziata intorno al 1890, cioè in coincidenza con la seconda industralizzazione europea, la quale, come è noto, incise nello sviluppo delle medesime regioni che oggi sono le più ricche del continente. Nonostante anche il Mezzogiorno d’Italia abbia avuto in quel medesimo periodo insediamenti industriali di rilievo (il nuovo arsenale di Napoli, i cantieri navali di Palermo e Taranto, l’Armstrong di Pozzuoli ecc.), fu proprio la maggiore e più capillare trasformazione industriale a determinare l’accellerazione decisiva dell’economia del Nord. Niente a che fare con l’Unità, quindi.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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