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Tre torri, una sirena e un’aquila entrano in un bar

 

Lo stemma del Comune di Maratea raffigura tre torri adagiate sul mare, con un’aquila bicipite sulla torre centrale. I testi di storia locale ci dicono che questo stemma sostituì uno più antico, raffigurante una sirena e che l’aquila bicipite fu un omaggio che i marateoti resero a Carlo V d’Asburgo. È una bellissima storia. Ma è vera?

Le tre torri di Maratea.

L’aspetto dell’attuale stemma comunale di Maratea è stato codificato con due decreti, il primo del 22 ottobre 1936 e il secondo del 27 febbraio 2009. In quest’ultimo lo stemma è descritto con queste parole: «di cielo, alle tre torri di argento, murate di nero, merlate alla guelfa di quattro, finestrate di due, di nero, chiuse dello stesso, munite di due forti marcapiani, fondate sulla pianura di azzurro, mareggiata di argento, la torre centrale cimata dall’aquila bicipite, di nero. Ornamenti esteriori da Città».

È lo stemma che tutti conosciamo. Il suo aspetto non è troppo originale: la ripetizione di tre elementi (tre montagne, tre colli, tre torri, tre torri su un castello ecc.) è piuttosto comune nell’araldica italiana. Basta pensare che la comunità lucana a noi più vicina, Trecchina, ha uno stemma molto simile al nostro: le uniche varianti sono una cinta muraria sotto le mura e l’immagine del gallo che lotta con il serpente.

La sua più antica rappresentazione nota risale al 1575. Si trova ai lati dell’ingresso (lato interno) della chiesa del Rosario a Largo Monastero. L’incisione non è bellissima. Molto migliore quella, del 1758, sul lato della base della colonna di S. Biagio nel centro storico.

Lo stemma scolpito nel 1758 sulla colonna di S. Biagio.

Le tre torri dello stemma sono state identificate come quelle della Galata, un tempo annessa al palazzo della famiglia d’Alitto, la parte prospiciente al largo Pietra del Pesce della Casa degli Eredi Picone e quella che ora forma il presbiterio e coro della Chiesa Madre.

Quando le torri erano due.

Durante dei lavori di restauro della Chiesa Madre di S. Maria Maggiore del secolo scorso, fu rinvenuta una lastra di marmo con uno stemma che è stato identificato come una versione precedente di quello comunale. Tre le varianti notevoli: non c’è l’aquila, le torri non poggiano sul mare ma su un bosco e, soprattutto, le torri sono solo due.

Lo stemma trovato nella Chiesa Madre. (foto: Calderano.it)

Questo dettaglio è considerevole. Infatti, non è affatto detto che le torri dello stemma rappresentino effettivamente altrettanti strutture reali. Nell’araldica, la torre è un simbolo. Si usa per rappresentare nobiltà, forza, potenza o costanza. La triplice ripetizione, come abbiamo visto, è una prassi invalsa.

È probabile che le due o tre torri dello stemma, allora, non vadano considerate come la rappresentazione di certe reali architetture presenti in una certa epoca a Maratea, ma una raffigurazione simbolica.

L’aquila bicipite.

Secondo monsignor Domenico Damiano (1891-1969), l’aquila bicipite, emblema asburgico, sarebbe stato aggiunto allo stemma di Maratea dopo il 1531. In quell’anno, Carlo V d’Asburgo ratificò la ricompra della città operata dai marateoti ai danni della famiglia Carafa di Policastro, che aveva provato a insignorirsi di Maratea. L’evento è piuttosto noto alla storiografia locale e non serve qui ripeterlo.

Sebbene un altro sacerdote e studioso di storia locale, Biagio Antonio Iannini, questa aggiunta allo stemma sarebbe stata “abusiva”, poiché non si trova un atto di concessione. 

Quale che sia il caso, il fatto in sé è possibile. Effettivamente abbiamo una versione dello stemma con l’aquila e uno senza: si deduce quindi che ci fu, ad un certo punto, un evento che portò alla sua aggiunta.

Va bene, ma la sirena?

Arriviamo quindi a quello che sarebbe stato lo stemma antico di Maratea. Il primo autore che lo menzioni è Biagio Tarantini (1864-1927). Nella sua monografia, pubblicata nel 1883, scrisse: «per quanto abbia frugato nelle biblioteche e presso gli amici l’antico stemma di Maratea non mi e riuscito poterlo rinvenire. Dicono che rappresentasse una Sirena e che poi si mutasse in Tre Torri con l’aquila bicipite in testa». Le sue parole sono molto interessanti.

Tarantini parla dello stemma della sirena come un elemento ben noto tra gli studiosi locali, seppure, come detto, risulti egli stesso il primo a scriverne. La cosa rappresenta un bel rompicapo, considerando anche un altro elemento.

Il 10 gennaio 1843 il collegio decurionale di Maratea (un ente simile all’attuale consiglio comunale) fu chiamato a deliberare dalla giunta araldica del Regno delle Due Sicilie. Si chiedeva ai comuni di precisare l’aspetto del proprio stemma comunale. Il decurionato di Maratea comunicò che «questo Antico Comune ha sempre fatto uso dello Stemma, consistente in tre Torri in riva al Mare, con un’Aquila a due teste posta sulla Torre di mezzo, sormontato lo stemma in parola da corona Reale, che vedesi scolpito in varj antichi monumenti pubblici».

È interessante che quarant’anni prima della pubblicazione di Tarantini, coloro che verosimilmente rappresentavano la generazione dei nonni di quell’autore non conoscessero alcuno stemma precedente (si legge infatti «ha sempre fatto uso dello Stemma, consistente in tre Torri») e che in tutti i «varj antichi monumenti pubblici» non ci fosse traccia della sirena. Di conseguenza, Tarantini da chi aveva sentito parlare della sirena?

Un’invenzione ottocentesca.

È allora probabile che l’idea che Maratea avesse uno stemma più antico e che questo rappresentasse una sirena fu un’invenzione tardo-ottocentesca, forse di qualche mattacchione della stessa generazione di Tarantini… se non di Tarantini stesso.

Infatti, all’epoca si sentiva un grande bisogno di rinnovamento di immagini e simboli nazionali e locali. L’Unità nazionale era stata raggiunta da pochi decenni: c’era, specie al Sud, un certo imbarazzo nel recupero e uso di immagini, simboli e addirittura toponimi che richiamassero al passato medievale e monarchico del Mezzogiorno preunitario.

La Sirena come immaginata da Carlo Alberto Perretti per la copertina di un libro del 1992

Basta pensare che proprio in quegli anni alcuni paesi della Basilicata cambiarono nome (Bollita in Nova Siri, Favale in Valsinni – per dirne due). Negli stessi anni partì il primo grande dibattito sul nome della provincia, con Michele Lacava (1840-1896) che propose il ritorno dell’antico Lucania e Giacomo Racioppi (1827-1908) che difese il nome di Basilicata.

Un indizio in questo senso è dato dal proseguo delle parole di Tarantini: «l’aquila bicipite poi fu tolta, ricordando tempi di oscurantismo e tirannide». In realtà, non è documentata una raffigurazione ottocentesca dello stemma senza l’aquila. Ma queste parole sono sintomatiche della tendenza di cui sopra. È allora possibile che Tarantini, o qualche suo contemporaneo, possa aver immaginato lo stemma della sirena proprio per offrire un’alternativa al recente passato, rifugiandosi nella mitologia classica.

La sirena medievale di Alessandro Romano.

Oggi il presunto antico stemma di Maratea è noto principalmente per la sua raffigurazione in La Sirena, la scultura di Alessandro Romano posta nella fontana al centro di Piazza Vitolo.

La scultura è un fine lavoro di bronzo, molto elegante e ben lontana – per nostra grande fortuna – da certe imbarazzanti raffigurazioni della figura femminile, purtroppo presenti anche in comunità a noi vicine. La Sirena di Romano, comunque, nulla ha a che fare con le Sirene così come immaginate dagli antichi Greci. Nella mitologia classica, infatti, le sirene erano creature con la testa di donna e il corpo d’uccello. Solo nei bestiari medievali, molti secoli dopo, le sirene mutarono forma e divennero come le immaginiamo oggi.

La Sirena di Romano (foto: Wikicommons)

Tocca dire, però, che neppure dopo l’ingresso di questa scultura nel patrimonio articolo locale, la sirena si sia guadagnata uno spazio di rilievo nell’immaginario della comunità. Le Tre Torri godono di un interrotto successo, mentre l’alternativa più gettonata a raffigurare simbolicamente la nostra comunità è, da molti decenni, la figura del Cristo di Bruno Innocenti.

 

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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