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Marina di Maratea tra XVIII e XIX secolo

Proseguiamo il nostro viaggio nella storia particolare delle singole frazioni del comune di Maratea. Oggi andiamo a Marina, la più vasta per estensione superficiale.

Una frazione senza nome.

Il tratto di costa dove insiste la frazione Marina, di fatto, non ha un nome proprio. Genericamente si tende a far cominciare, a nord, il territorio interessato dal torrente Malcanale, oggi superato da un ponte della SS 18, e a chiuderlo, a sud, dalla Bocca del Citrosello o, forse più correttamente, alla Valle dell’Acqua.

All’interno di questo tratto, però, ci sono numerosi toponimi che frazionano il territorio: Ilicini (che si scrive correttamente con una sola l), San Giuseppe, Macarro (nome di un territorio boscoso preso in prestito da uno stabilimento balneare sulla spiaggia detta Cala Grande o Don Nicola), Rovina, Triolo, San Bartolo, San Michele, Santa Teresa, Citrosello.

Il nome collettivo di Marina ha un’origine curiosa. In epoca moderna, la marina di un paese altro non era che la sua costa: marina di Maratea, marina di Tortora, marina di Aieta erano espressioni equivalenti a costa di Maratea, costa di Tortora ecc. Mentre gradualmente il resto della costiera marateota prendeva nomi specifici, in parte ceduti alle nascenti frazioni, per il tratto sud l’etichetta toponomastica restò scoperta, per cui l’epiteto Marina di Maratea è rimasto confinato solo qui.

Il Settecento.

Rudere di una struttura in località S. Giuseppe.

Nel Catasto Generale del 1753 Marina di Maratea è pressoché vuota. Sono registrati solo un paio di frantoi, pochissime cascine rurali e una taverna di proprietà del monastero dei Paolotti. La zona era frequentata solo stagionalmente, per cui non era necessario costruire molto.

La principale coltivazione in zona era quella dell’olivo. A fine secolo, Lorenzo Giustiniani (1761-1824) descrive appunto Marina «piena di speciosi oliveti».

I principali proprietari erano i Calderano, gli Orlando e i Ventapane. Per i possedimenti di questi ultimi dispongo di uno straordinario documento: un inventario dettagliatissimo delle proprietà di questa famiglia a Maratea, che ho potuto osservare in un archivio privato. Questa fonte ci permette di vedere come erano fatte le prime case di Marina.

Dentro una delle prime case di Marina.

Nell’inventario sopra citato, redatto nel 1802, troviamo la descrizione del casamento che la famiglia Ventapane possedeva in località S. Michele. Oggi questa struttura esiste come rudere.

La costruzione aveva due piani. Nel superiore c’erano «quattro stanze e ad una di esse vi è parimenti un piccolo stanzino, servendosene per uso di dispensa, un’Arcova [sic], ed un Ristretto. Nell’inferiore vi sono, una Cappella […] un magazzino con due forni, e con un posto, dove vi sta la tina, e tinella per uso della vendemmia, ed altri due magazzini, uno dentro l’altro, in dove si ci è costruito un Trappeto per macinar l’olive, ed a fianco dell’istesso vi è la cisterna». L’ingresso era abbellito con sei pilastri «che reggono una pergola, di fabrica».

Il casaleno di S. Michele in una foto del 2009.

Il vasto fondo connesso alla struttura contava un vasto patrimonio agricolo: «cioè Piedi di Vite n.° 8000 […] Fichi piedi 77 […] Celsi n.° 17 […] Querce grosse 13 […] Olive piedi 8 […] Prune piedi 13 […] Scioscelle selveggie piede uno […] Crisomole due […] Persichi e Percochi piedi 20 […] Carruggia piedi uno […] Noci piedi uno […] Agrumi agri piedi 5 […] Una macchia di fichi d’india, una macchia di canne».

La struttura si configura come una piccola masseria, con il piano superiore pensato per dare uno spazio minimo abitabile (sempre stagionalmente, non trovandosi notizia di custodi) e il piano inferiore tutto dedicato alle attività di supporto ai lavori agricoli.

Le cappelle.

Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo a Marina esistevano tre piccole cappelle, dedicate a S. Giuseppe, S. Bartolomeo apostolo e S. Michele.

Quest’ultima, di cui oggi esiste solo la struttura muraria, era posta nel pianterreno del casaleno dei Ventapane. Aveva il «suo Altarino, e Nicchia, colla Statuetta di S. Michele in alabastro, colla sua vetrata avanti, e fornita di tutti quelli utensili bisognevoli per la medesima; come pure l’acquasantiera di Pietra, ed uno stipetto, per riponerci gli utensili della detta, e sopra l’istessa vi è un’Archetto con una Campanella di bronzo, per chiamarsi la gente del Villaggio nelli giorni festivi». Purtroppo oggi è sopravvissuta solo l’acquasantiera.

Marina negli anni ’50 del XX secolo.

Dal 1817 la cappella di S. Michele assolse le funzioni di chiesetta filiale durante la stagione della raccolta di olive, c’era la maggiore frequentazione della zona.

Nelle conclusioni clericali della parrocchia di S. Biagio è annotato che: «dal Rev. Attuale Procuratore D. Giovanni Cantore Fiorillo, è stato proposto, qualmente gli abitanti del Villaggio della Marina, l’anno passato richiesero in tutte le Feste un Sacerdote per celebrare la Messa in quella Chiesa di S. Michele Filiale di questa Parocchia, e quantunque sin da tempi antichi sempre questo Clero e Capitolo tanto pratticato aveva, specialmente in tempo della raccolta delle Olivi; pure per la mancanza de’ Preti, si fece a sudetti sentire, che se li dava il permesso di potersi provvedere altrove di Sacerdote, o secolare, e Regolatore come di fatto si providero in persona del Sacerdote D. Vincenzo Labanchi di Maratea inferiore, il quale lodevolmente hà istruito que’ Ragazzi ne’ Rudimenti della Dottrina Cristiana, e tuttavia ci continua a prestare un tale officio». Poi, nel 1819, la zona di Marina passò sotto l’influenza della parrocchia di S. Maria Maggiore.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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