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Il perduto polittico di Michele Curia per la basilica di S. Biagio

Molte sono state le opere d’arte perdute o comunque non più visibili nelle chiese della nostra Maratea.
Dopo la pubblicazione dell’articolo Le modificazioni dell’interno della basilica di S. Biagio, che si può leggere  cliccando qui, diversi amici di Maratea mi hanno chiesto notizie sul bellissimo quadro, un polittico per la precisione, che si vede nelle foto d’epoca sopra l’altare maggiore del santuario.
Di seguito, condivido ciò che ho potuto loro rispondere.

Atto di commissione.
Il polittico è una delle poche opere d’arte di Maratea di cui disponiamo degli atti di commissione.
Giovedì 4 settembre 1578, il marateota Biagio Armeno e il napoletano Giovanni Antonio De Julio si presentarono, a Napoli, davanti il notaio Francesco Di Gennaro per impegnare l’artista con un acconto di 15 ducati dei 55 stimati dell’opera.
L’artista ingaggiato fu Michele Curia, pittore napoletano attivo tra il 1551 e il 1594, il cui figlio Francesco, ben più famoso del padre, produsse opere molto apprezzate dagli storici dell’arte.
Il polittico doveva avere «lo quatro di mezo quello de bascio una madonna con suo figlio in braccio con uno strono di angeli, jtem li doi quatri dale bande de detto quatro al desto santo biase al sinistro san giovanni battista, jtem ali scabelli sotto santo biase, lo martirio de santo biase et sotto san giovanni battista la nunziata al’ordine di sopra al quatro di mezo ò vero la resurettione di nostro Signore è vero la S.ma Trinità […] a li quatri disopra dale bande, dal destro santo francesco et dal sinistro santo antonio».
Il lavoro doveva essere completato entro e non oltre il gennaio successivo con «bono lavore di colori fini perfettissimi ben pintati ad laude de mastri jn tali experti».

Il restauro settecentesco.
In un manoscritto dell’archivio parrocchiale, attribuibile a Gennaro Buraglia (1831-1921) e databile al 1870 circa, il polittico è descritto rappresentare «la Madonna delle Grazie col Bambino fra le braccia, tutto circondato di Angioletti dipinti sulla tavola, dal lato destro del quadro suddetto vi è un’altra figura rappresentante S. Biagio intero in abiti pontificali; dall’altro lato un’altra figura rappresentante S. Giovanni Battista anche, per intero parimente». L’opera è misurata in 5 metri di lunghezza e 3 di altezza.

Il polittico in una foto d’epoca.

I quadri collaterali commissionati al Curia, quindi, erano scomparsi all’epoca, sempre che non fossero mai stati realizzati per problemi che i documenti non ci hanno tramandato. Buraglia annota che «sotto l’immagine di S. Biagio vi è questa iscrizione: “R. D. G. V. Restauravit”». Le iniziali si interpretano come reverendessimo don Gaetano Ventapane, che ebbe la cura della chiesa tra il 1720 e il 1745. È noto che il Ventapane fece operare parecchi restauri alla chiesa e alle opere in essa contenute, quindi sappiamo da questa annotazione che anche il polittico ricevette le sue attenzioni.

La scomparsa.
Il polittico dell’altare maggiore, dopo essere rimasto oscurato dallo spostamento della Regia Cappella del 1940, è scomparso definitivamente alla vista dei fedeli e dei visitatori del santuario dopo il drammatico smantellamento propedeutico ai lavori del 1963-69, di cui ho già parlato nell’articolo citato all’inizio.
Da allora, l’opera risulta perduta… seppur con le difficoltà che porta pensare che un polittico cinquecentesco di 15 metri quadrati possa smarrirsi come i calzini riposti nel cassetto sbagliato.
Una luce ancor più inquietante, a mio parere, è gettata sulla vicenda da un documento che ho recuperato in un archivio privato nella città di Roma. In esso, Bruno Molajoli (1905-1985), esimio storico dell’arte e all’epoca direttore generale per le Belle Arti al Ministero dell’Istruzione (il Ministero per i Beni Culturali ancora non esisteva), rispondeva alla richiesta di Stefano Rivetti (1914-1988), l’imprenditore finanziato dalla Cassa del Mezzogiorno che in quel periodo faceva il bello e il cattivo tempo su Maratea e che fu tra gli ispiratori degli sciagurati lavori, di aver autorizzato un sottoposto a «interessarsi per il reperimento di frammenti idonei all’arredamento della Chiesa di S. Biagio». Il documento porta la data dell’11 maggio 1964, quindi fu scritto dopo lo spostamento degli originali arredamenti del santuario.

La comunicazione di Molajoli a Rivetti.

Quindi, uno scambio completamente arbitrario di opere d’arte da una chiesa a un magazzino di una sovrintendenza e viceversa era qualcosa che anche un Ente statale preposto, all’epoca, poteva prendere in considerazione. E, considerato che questa era solo una delle deprecabili prassi dell’epoca, Dio solo sa quante strade può aver preso l’opera scomparsa…!

Personalmente, non so se sarà mai possibile lanciarsi alla ricerca del perduto polittico, ma se così fosse, sicuramente tutti – nei limiti delle nostre facoltà – contribuiremo al recupero di un’opera che i nostri antenati commissionarono per donare anche a noi: non è mai veramente troppo tardi per rimediare agli errori del passato.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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