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Santo Macario… chi?

Nella basilica di San Biagio non sono conservate soltanto le reliquie del santo patrono di Maratea.

Ci sono anche i corpi, o parte dei corpi, di due altri santi: Santa Restituta e San Macario.
In particolare, la Chiesa Cattolica venera ben quindici santi di nome Macario. Qual è il nostro?

L’analisi di Paolo D’Alitti
I nostri antenati si erano già posti il problema, e già da tanto. Ben tre secoli fa, il sacerdote e teologo Paolo D’Alitti (1676-1728), il primo autore di un volume su Maratea (o, almeno, il primo la cui opera sia arrivata fino a noi), cercò di arrivare a una qualche conclusione sull’argomento: Macario chi?
D’Alitti prima enumera i dodici santi di nome Macario venerati nella sua epoca. Il primo è San Macario il Grande, vissuto in Egitto, e secondo il prelato il suo corpo «pare impossibile da quel deserto essersi in Maratea trasportato». Poi passa a San Macario di Alessandria, di cui è certo dire che «il suo corpo si ritrova nell’istesse parti d’Egitto».
Passa poi a San Macario vescovo di Petra, San Macario vescovo di Gerusalemme e San Macario vescovo di Antiochia. Nessuno di questi, secondo D’Alitti, può essere il santo venerato in Maratea perché «oltre le difficoltà della trasportazione, non mai s’è motivato il nostro Santo Macario essere Vescovo».
Seguono i santi Macario martiri. Ne enumera sei e si sofferma su San Macario di Melitane. Questo santo, «essendo egli soldato, unito con Eudossio Zenone, e mille cento, e quattro compagni, nella fiera persecuzione cominciata da Diocleziano, ma imperando nell’Oriente Licinio essendo con editto interdetta a Cristiani la milizia, eglino, confessandosi tali, e deponendo il cingolo militare, furono tutti coronati di trionfale martirio, nell’anno trecento, ed undici, a cinque di Settembre in tal giorno la Santa Chiesa festeggia la solennità».
Trovandosi Melitane nell’Armenia storica ed essendo la data del suo martirio vicina a quella di San Biagio, D’Alitti sostiene essere questo Macario il santo il cui corpo si conserva a Maratea. «Si conferma maggiormente tal’opinione», insiste D’Alitti, «perché in Maratea il nostro San Macario fratello di S. Biagio s’è creduto, per la continuata fama, e tradizione, che deve aver avuto origine dagli Armeni, che lo condussero».

Il segno dei tempi
A conclusione del suo discorso, D’Alitti segna una nota interessante. «Da quel che s’è detto si scorge, ch’il voler alcuni Moderni in Maratea effigiar San Macario da Eremita, è cosa fuori di considerazione, e senza fondamento». È interessante perché ci informa che, per qualche motivo che non ci è dato sapere, si era cominciato a rappresentare il santo con le vesti dell’eremita. Ed era una tradizione destinata a durare.
Nel 1865 il parroco di S. Biagio Gennaro Buraglia (1831-1921) dava alle stampe la prima edizione di un suo volumetto su San Biagio. In un capitolo affronta la questione sull’identità del Macario venerato a Maratea e, con un discorso molto simile – per impostazione e contenuto – a quello di D’Alitti, enumera i santi e propone quale potrebbe essere il nostro. Ma il finale cambia.
Per Buraglia il santo di Maratea non può esser affatto quello di Melitane, perché l’agiografo da lui consultato «lo dice sepolto in Egitto». Per Buraglia il santo di Maratea è proprio San Macario il Grande, discepolo di Sant’Antonio Abate, perché «i Marateoti lo han tenuto sempre per Romita, e la tradizione immemorabile di un popolo, giusta gl’insegnamenti di S. Agostino, nel libro della città di Dio, e di Giambattista Vico nella Scienza Nuova, è cosa sacra ed incrollabile». Sarà pure… ma, come abbiamo visto prima, quella tradizione, a quanto ci dice D’Alitti, sarebbe nata solo nella sua epoca!
Anche Domenico Damiano (1891-1969) dedicherà un capitolo alla questione su San Macario nel suo libro su Maratea nella storia e nella luce della fede. Dopo aver ricalcato ampiamente le parole di Buraglia, la sua conclusione è la stessa (parola per parola!): «Il nostro S. Macario si è creduto sempre l’Eremita, lo Egiziano, il discepolo di S. Antonio Abate. Quando in epoca assai lontana si pagava il dazio alla cappella di S. Biagio, sul frontespizio delle patenti era impressa nel mezzo dell’immagine della Madonna, a destra S. Biagio in abiti pontificali, a sinistra S. Macario vestito da eremita».

Il peso della tradizione
Allora, Macario chi?
La risposta che possiamo dare ora non è di certo esaustiva, ma, come sempre si dovrebbe fare in questi casi, è quella più genuinamente onesta: non lo sappiamo. Ma questo non significa che non potremo mai scoprirlo.
Il grande ostacolo da rimuovere è il peso della tradizione. Tanto D’Alitti che Damiano, così come Buraglia, risentono si basano principalmente su dati empirici e tradizionali. Persino i loro excursus sull’argomento risentono – nelle parole stesse di Buraglia e Damiano – di quanto avevano scritto i loro predecessori. In più, tutti questi autori si sentono vincolati alla tradizione che le reliquie di Macario (così come di Santa Restituta) siano giunte insieme a quelle di S. Biagio, dato che, meramente strumentale, per quanto probabile non deve essere preso per forza per assoluto.
Scrivere e riscrivere quanto già detto, senza aggiungere nuovi dati od operare attente revisioni critiche, rischia di trasformare il lavoro dello studioso in un inutile supplizio di Tantalo, in cui le parole si rimescolano all’infinito come l’acqua nella Fontana di Trevi: bella quanto volete, ma è sempre la stessa acqua!
Purtroppo, al momento non possiamo che aspettare nuove possibilità di ricerche, magari condotte negli archivi fuori da Maratea che si sta provvedendo, in questi anni, a digitalizzare (facilitando all’infinito la ricerca) e a indagini paleo-archeologiche sulle reliquie stesse.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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