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Fuoco e fiamme. Riflessioni sull’incendio dell’11 giugno a Maratea

Maratea Castello in fiamme. (foto di D. Dammiano)

L’incendio che ha avvolto la cima del monte San Biagio dovrebbe farci riflettere in maniera particolare.

Se ogni anno, purtroppo, ci stiamo abituando al fatto che una fetta del nostro territorio brucerà coll’approssimarsi della stagione estiva, si può dire che mai come ora l’attacco paesaggistico-ambientale ed economico alla nostra Comunità era stato tanto evidente.

L’incendio boschivo è solitamente attribuito ai pastori, in cerca di nuovi pascoli. Ciò senz’altro era verosimile nel passato o può esserlo tutt’ora per particolari zone. Oggi, a Maratea, spero onestamente che si faccia moltissima fatica a imputare a dei pastori l’incendio di una montagna che per metà è già brulla e sull’altra metà porta in grembo un intero paese. Ma quale pastore vorrebbe pascolare lì? Su oltre 67 kmq, perché scegliere proprio il luogo più vistosamente sbagliato?
Il fuoco che si alza da dietro il Cristo Redentore, cammina nei resti della vecchia Maratea Castello e sfiora la Basilica-Santuario di San Biagio è inequivocabilmente uno sparo al bersaglio grosso. È uno sfregio, un attacco violento e progettato all’immagine di una intera Città, dei suoi abitanti e di coloro che vengono ospitati. In certi periodi dell’estate sulla cima del monte salgono migliaia di turisti al giorno. Ci sono delle attività commerciali e quelli che sono considerabili come i tre simboli di Maratea, prima nominati. Da lì facilmente il fuoco può passare – com’è passato – ai Carpini, e quindi minacciare il centro storico con le sue case. Il pericolo per le vite umane o almeno per la proprietà privata, al di là del paesaggio e del patrimonio artistico-storico, è evidentissimo.
L’incendio dell’11 giugno pare molto di più una via di mezzo tra una prova di forza e un gesto intimidatorio da parte di chi può star certo che non sarà mai punito. Oggi più che mai l’immagine dell’anonimo pastore è un comodo specchio per allodole, utile solo a nascondere i veri responsabili. Dietro c’è una logica perversa di attacco gratuito, doloso e maligno il cui scopo è ledere l’integrità del territorio, con il turismo motore dell’economia locale, la competitività di una Città sul mercato turistico stesso e scatenare l’intervento straordinario di mezzi costosissimi. E responsabili di ciò possono essere molti perché, quel che è peggio, diversi, perché tali logiche, prese singolarmente, non sono tra loro concorrenziali. Insomma, l’incendio estivo esiste per l’unica ragione per cui nel nostro mondo esiste qualcosa: cioè perché, in diversi modi, esso è un buon affare per diversi portatori d’interesse.

Vedere il Cristo, la basilica e la vecchia Maratea avvolta dalle fiamme è stato per tutti noi un colpo al cuore. Per chi ama questo paese la cima del monte San Biagio è l’unico vero centro del mondo, se il mondo ne potesse avere uno.
Fortunatamente, sembrerebbe che non ci siano stati danni considerevoli e vistosissimi al patrimonio monumentale. Fa riflettere in particolare il caso dei resti della vecchia Maratea. Attaccati nel 1284, nel 1440, nel 1528 e nel 1806, bruciati in parte già nel 1624 (ma fu un fulmine la causa quella volta), sono sempre là, in barba pure ai terremoti, neanche fossero difesi dalle anime dei morti…!
Il merito per ieri è dei volontari della nostra Protezione Civile. Armati di solo coraggio perché senza attrezzature antincendio degne di questo nome, sono accorsi per primi e hanno difeso persino l’immateriale, la nostra Storia. Tutte le famiglie di Maratea che hanno o hanno avuto un loro membro in questo corpo devono esserne orgogliose, lo saremo anche noialtri, come Comunità. Uguale ringraziamento vada ai Vigili del Fuoco.

Certo, qualche appunto dobbiamo però farcelo. Quando l’emozione del pericolo passato sarà scemata, dovremo ragionare se mantenere il Cristo di Bruno Innocenti, la Basilica-Santuario di San Biagio e i resti dell’antica Maratea Castello avvolti nell’incuria e nelle erbacce per nove mesi l’anno sia, primo, la maniera più dignitosa in cui possiamo custodire i nostri simboli e tesori; secondo, dovremmo riflettere su quanto la cura dei luoghi sia fondamentale nella prevenzione del rischio.

Su un incendio che divampa robusto già dalle ore 19:00 del 11 giugno e su un Canadair che arriva alle 10:50 del 12 giugno spero se ne parlerà molto nelle sedi opportune. Ma è speranza vana. Fummo solo fortunati l’anno scorso, noi marateoti ‘marinaioli’, quando già all’alba del 9 agosto i Canadair ronzavano sopra le nostre teste per spegnere l’incendio che minacciava le case di Marina.
È una realtà tanto evidente da non poter essere taciuta che la prevenzione degli incendi boschivi non funziona. Si sprecano le segnalazioni e le telefonate, ma mezzi e personale non sufficientemente ben sparsi sul territorio nazionale. Possiamo discutere fino a diventare verdi su torrette di segnalazione poste qua e là nei monti e su nuovo personale (state tranquilli: solo volontario!) da mettere negli anfratti più remoti degli Appennini. Pochissimi, e forse nessuno, degli Enti amministrativi italiani ha le forze economiche necessarie per farlo, ammesso e non concesso che i mezzi di cui parliamo siano veramente i migliori possibili.
E il discorso perde ancor più contatto con la realtà quando si vuole che sia Maratea stessa a dare l’esempio e dotarsi da sé di simili mezzi.
Ma Maratea non è un’isola. La trappola di pensiero in cui almeno una intera generazione di noi marateoti è caduta e in cui sta lasciando cadere le successive è che il nostro paese sia una monade, un’entità a sé stante dal resto del mondo, che per sopravvivere al meglio delle sue possibilità deve porsi fuori dal contesto politico-amministrativo che la circonda. Ma chiudersi in questa trappola di pensiero fa la fortuna soltanto di quegli avventurieri politici che, in campagna elettorale, riescono a porsi come gli eroi della situazione che, con il loro sacrificio umano e professionale, si dicono pronti a salvare la Comunità dalle malefatte del cattivo di turno, precedente amministratore o lontano deputato, a cui sono attribuiti, giocoforza, i problemi del presente e del passato di questo piccolo mondo sotto vetro.
Invece i nostri problemi hanno radici comuni con quelli del resto d’Italia e del suo Mezzogiorno. È solo all’interno di questi contesti che possiamo sperare di trovare la forza di superarli.
E poi, nella realtà, e con un minimo di pensiero critico, possiamo veramente immaginare che a Maratea si possano adottare soluzioni che gli organismi ammnistrativi di cui la stessa Maratea fa parte non hanno le forze per implementare?
Se l’incendio boschivo è veramente un business, così come siamo portati a immaginare, la soluzione per vederlo scomparire non può che essere una: renderlo antieconomico.
Facile a dirsi, certo. Ma come fare?
Queste righe non possono offrire nessuna soluzione. E ciò per il semplicissimo motivo che chi scrive non ha la fortuna di averne una. Ma resta mia ferma convinzione che soltanto inquadrando i problemi nel quadro più grande e più preciso possibile si può arrivare al livello di consapevolezza necessario per maturare un pensiero di azione efficace. D’altra parte, è questa operazione la cosa che si chiama, o si dovrebbe chiamare, pensiero politico.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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