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L’anno mille nel Meridione d’Italia.

Nei precedenti articoli abbiamo visto due tra le più importanti civiltà del mondo antico. In questo analizzeremo l’insieme di popoli, di lingue e di religioni presenti nell’ Italia meridionale intorno all’anno mille. Popoli diversi, che nonostante tutto, impararono a convivere tra di loro. Vi erano i Longobardi, popolo di origine nordica con le loro “Long Beard”( da cui deriva il nome);  vi erano i Bizantini nel Salento e nella Calabria, con la loro chiesa e il loro Imperatore ad oriente; gli Arabi in Sicilia, con la loro cultura e loro sapere; e ultimi ma non per importanza gli “avventurieri del Nord” i Normanni. Il Meridione d’Italia come da sempre crocevia di popoli, mostrava al mondo intero che lo star insieme di civiltà era cosa possibile, anche in un periodo da molti definito oscuro e retrogrado come il Medioevo.

Dai Romani ai Barbari il passo è breve.

Procediamo con ordine, prima di tutto analizzeremo sinteticamente alcuni aspetti che portarono alla particolare situazione geopolitica della penisola italica. Tutto ebbe inizio durante il III secolo d.C., l’Impero non era più forte come un tempo: ricorrenti epidemie, attacchi nemici da più fronti, difficoltà nel garantire le accresciute esigenze finanziarie e belliche in coincidenza con una gravissima crisi demografica, portarono cosi a un lento decadimento.  Da qualche tempo l’impero romano affidava la difesa dei suoi territori, ridotti ormai a una piccola parte della precedente estensione, a truppe germaniche mercenarie. Erano milizie agguerrite ma fedeli in prima istanza ai loro comandanti e rappresentavano di conseguenza un cronico fattore di instabilità. Nel 476 d.C. Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d’occidente, fu deposto proprio da uno di questi generali: Odoacre. Quest’ultimo prese il  potere governando, di fatto, come un re, riconoscendo la figura dell’imperatore di Costantinopoli ma mantenendo una totale autonomia nella gestione del potere.  Fra il IV e l’VIII secolo d.C. molte delle province che costituivano la parte occidentale dell’Impero Romano furono conquistate da popolazioni barbariche, che vi crearono dei regni. In questi regni, barbari e Romani s’integrarono fra loro, talvolta con pieno successo, in altri casi solo parzialmente.

Deposizione di Romolo Augustolo- disegno

I regni romano-barbarici.

La grande maggioranza delle popolazioni dall’est, spinte dalla pressione delle bellicose tribù nomadi degli Unni e dei Vandali, varcò il Limes sul Reno e si riversò nei territori della Gallia e della penisola Iberica. Vandali e Svevi s’insediarono in Spagna; Franchi, Burgundi e Visigoti in Francia. Nel corso del tempo l’arrivo di nuove popolazioni porta ad altre migrazioni, ad esempio i Visigoti si trasferirono in Spagna, mentre i Vandali occuperanno  l’Africa settentrionale;  la Britannia toccò agli Angli e dai Sassoni; in Italia giunsero nel 489 gli Ostrogoti e nel 568, dopo che questi vennero cacciati dal grande imperatore bizantino Giustiniano, arrivarono i Longobardi. In questi regni, la minoranza di conquistatori che parlava lingue germaniche ed era di religione pagana, impose la propria autorità alla maggioranza della popolazione che parlava latino ed era stata nel corso dei secoli fortemente “romanizzata”. Le differenze fra tutti erano immense.

Incontro-scontro fra culture.

I Romani erano abituati a vivere sotto un sistema amministrativo complesso, apprezzavano la letteratura, organizzavano commerci e sapevano gestire molto bene il territorio; avevano grandi città protette da alte mura e piene di edifici pubblici legati allo svago della popolazione. Le popolazioni barbare invece, vivevano in maniera completamente diversa, non avevano un sistema burocratico, non sapevano gestire i commerci ed essendo spesso nomadi non avevano grandi città. Erano privi di conoscenza letteraria, molto spesso ignoravano la scrittura, mentre preferivano migliorare le loro abilità guerriere; la società era gestita da accordi tra clan e famiglie. Ad aumentare le differenze intervenne anche la religione, molti popoli prima del loro arrivo erano già convertiti al cristianesimo, ma di una dottrina differente: l’arianesimo. Questo portò non pochi contrasti giacché in occidente era definito come un culto eretico.

I  Barbari in Italia.

Per oltre duecento anni gran parte della penisola Italiana cadde sotto il dominio di uno dei popoli Germanici: i Longobardi. L’eredità che risalta immediatamente all’attenzione di tutti è legata al nome di una delle regioni Italiane, ossia la Lombardia; toponimo che viene appunto dalla parola Longobardia (terra dei Longobardi). Con il loro arrivo finì l’unità politica della penisola che impiegherà, come ben sappiamo, altri tredici secoli per ritrovare tale unione. Fu Alboino, re di questo popolo, a decidere di far migrare il suo popolo dalla provincia della Pannonia, dove erano insediati,  verso l’Italia, provincia molto più ricca ma in enorme decadenza. La conquista iniziò dal Friuli, preso in pochi giorni. Proseguire però non fu facile, soprattutto perché i vari capi longobardi, chiamati duchi (dal latino dux «comandante»), erano molto autonomi dal re. Non si trattava tanto di un esercito bene organizzato, quanto di bande di guerrieri che agivano ognuna per proprio conto, seguiti da donne, bambini e  schiavi. Alboino e il suo successore furono uccisi e per oltre dieci anni i duchi Longobardi evitarono di nominare un re (avevano una carica elettiva non ereditaria). La maggior parte dei popoli germanici aveva avuto un contatto con il mondo romano e si era di conseguenza “romanizzato”, assimilando parte degli usi e dei costumi. I longobardi invece, avendo avuto minimi contatti con il mondo romano, rimasero legati alle loro tradizioni germaniche.  Tutto era molto diverso rispetto ai romani: le leggi erano orali, la stessa lingua longobarda non era messa per iscritto; non avevano un’ idea di cosa fosse uno Stato, non conoscevano le tasse, consideravano un uomo libero solo colui che combatteva, molti adoravano i loro antichi dei. Diversissimo era poi l’abbigliamento e persino l’acconciatura dei capelli: mentre i Romani radevano la barba e portavano i capelli corti, i Longobardi radevano la nuca, si facevano crescere la barba e tenevano i capelli molto lunghi.

Una penisola contesa.

I longobardi non riuscirono mai a conquistare l’intera penisola, in parte a causa delle loro divisioni interne ma anche perché molti territori restavano sotto la protezione dell’Impero Bizantino. A nord, rimasero bizantine la Romagna, la zona di Venezia e a lungo anche la Liguria; al centro, Roma, il Lazio e parte dell’Umbria e delle Marche; a sud, i Bizantini conservarono la Sicilia, le estremità della Puglia e della Calabria, e poi alcune città della costa, come Napoli e Amalfi. Questa situazione causò guerre per generazioni, da una parte chi voleva completare la conquista, dall’altra chi voleva riprendere i territori perduti. Non è chiaro ai molti quale fu il destino della popolazione romana sotto la dominazione longobarda, la mancanza di fonti non ci permette di avere un quadro preciso della situazione. Per il momento sono ancora pochi gli scavi archeologici, che sicuramente permetteranno in futuro di risolvere la questione. L’ipotesi più probabile è che si verificarono situazioni differenti, poiché diversi erano i ceti sociali colpiti dal cambiamento.

Il tempo sistema ogni cosa.

Con il passare del tempo i longobardi cominciarono a integrarsi con la popolazione romana, soprattutto dopo la conversione al cattolicesimo. Con il progressivo consolidarsi del potere, la struttura politica basata sul sistema dei ducati si rafforzò: ogni ducato era guidato da un duca, non più solo capo di una fara (clan di aristocratici militari), ma funzionario regio con poteri pubblici, affiancato da figure minori come i gastaldi. Vediamo il formarsi d’importanti ducati come: Ducato del Friuli, Ducato di Vicenza, Ducato di Verona, Ducato di Pavia (Capitale de Regno), Ducato di Tuscia, Ducato di Spoleto, Ducato di Benevento. La conversione al cattolicesimo e la redazione di un corpo di leggi scritte in latino (Editto di Rotari 643 d.C.) segnarono la fine delle consuetudini barbariche e posero le basi per la formazione di una società basata sulla proprietà terriera, sull’unione matrimoniale e sul diritto ereditario. Liutprando pose fine alla distinzione tra Longobardi e Romani e introdusse un nuovo aspetto legato alla religione cattolica: il reato era prima di tutto una trasgressione alla legge divina e una violazione del diritto sociale che aveva bisogno dell’intervento dello Stato e non più del privato. Inoltre allo stesso Liutprando è legata la vicenda che portò all’inizio del potere temporale dei Papi ( che durerà fino al 1870 con la breccia di porta Pia) grazie alla donazione del castello di Sutri.

I resti dell’impero.

Per cinque secoli la penisola Italica vide la presenza dei Bizantini. Appendice più occidentale dell’impero romano d’oriente, territorio ritenuto da sempre di notevole interesse, purtroppo nei fatti fu molto trascurato e poco considerato. Con il trascorrere del tempo, l’esarcato divenne una colonia con la quale rimpinguare le casse imperiali per affrontare le guerre sul versante orientale o nei Balcani. I territori bizantini nel IX secolo erano ridotti ad alcune zone della Calabria e del Salento, costantemente minacciate dalle incursioni degli Arabi, con i quali inevitabilmente i Bizantini vennero a scontrarsi ripetutamente. Segui poi l’arrivo dei Longobardi, che segnò un successivo indebolimento del potere e d’influenza da parte dell’impero. Essendo impegnato militarmente su più fronti, l’impero non riuscì a collocare il giusto numero di milizie per controllare il territorio. Il governo bizantino finì per l’essere sempre più odiato dagli italici per tutta una serie di ragioni e spesso nelle città pugliesi scoppiavano rivolte antibizantine, la più importante fu quella guidata dal nobile Melo da Bari nel 1009. La rivolta fu domata ma oramai il declino dell’esarcato era segnato. In questo scenario di caos e belligeranza, fecero la loro comparsa i Normanni, che impegnarono i Bizantini in tante battaglie uscendone quasi sempre vincitori. La presenza Bizantina nell’Italia meridionale si terminò definitivamente nel 1071, quando il normanno Roberto il Guiscardo conquistò Bari. Molto è rimasto della loro presenza, dalla cultura all’architettura, vediamo molte influenze bizantine nella lingua e nella religione. Note sono le grotte con affreschi, rifugi di monaci dopo le lotte iconoclaste. Note sono le pagine del “Codex Purpureus Rossanensis”,  un Evangeliario  greco miniato, che al suo interno contiene l’intero Vangelo di Matteo, quasi tutto quello di Marco, e  una parte della lettera di Eusebio a Copiano sulla concordanza dei Vangeli. Noti sono i complessi monastici, ampliati poi a seguito della conquista normanna, come la Cattolica di Stilo. Essa rappresenta un esempio chiaro della presenza e del passaggio dei monaci orientali nella Calabria del XI secolo. Cinque secoli di storia sono difficili da cancellare, ma il susseguirsi di dominazioni ha fatto si che si creasse una sorta di stratificazione nel tempo, dove l’occhio attento o ben guidato, riesce a percepire il susseguirsi dei fatti.

Gli avventurieri del Nord.

Nell’Europa medievale era diffusa la pratica di mettersi in viaggio verso i luoghi di culto più importanti, genti appartenenti a vari ceti sociali, mettevano da parte tutto e tutti per intraprendere questo tipo di cammino. Cammino che veniva ed è ancora effettuato attraverso la via Francigena, una strada che, serpeggiando attraverso monti e valli,  arrivava dall’Inghilterra a Roma, per poi proseguire verso le puglie e infine arrivare in oriente presso Gerusalemme. Tra i vari popoli che praticava tale rito, uno dei più zelanti e instancabili era di sicuro il popolo Normanno. Discendenti dei guerrieri pagani del Nord, da cui prendono il nome (dal latino medievale northmanni=uomini del nord), si stabilirono in una regione a nord della Francia, nota ancora oggi come Normandia (terra degli uomini del nord). Dopo la loro conversione al Cattolicesimo avvenuta con re Rollone, i normanni divennero uno dei popoli più fedeli alla Chiesa. Trovarono in San Michele, il Santo guerriero, il loro Patrono, e si dedicarono all’edificazione di abbazie, chiese e monasteri. Un piccolo gruppo di normanni in pellegrinaggio presso il santuario di San Michele Arcangelo, sul Gargano, venne in contatto con le popolazioni Bizantino-longobarde del meridione d’Italia. Si resero presto conto che con pochi di loro, avrebbero potuto conquistare quelle fertili terre, dilaniate da lotte interne tra i vari stati.

Il regno nel sole.

“Il regno nel sole” è il titolo di un libro scritto da John Julius Norwich, noto storico, dove racconta l’avventura di questi cavalieri giunti da così lontano.  Nel 1016, racconta il monaco di Montecassino Leone Ostiense nella Chronica Monasterii Casinensis, che un gruppo di normanni di ritorno dalla terra santa, sbarcò a Salerno, assediata dai Saraceni. Costoro si unirono al combattimento mettendo fuori gioco gli assedianti e tornando in patria carichi di doni, fomentarono idee di prendere per loro quelle terre, cosi ricche e abbondanti. Da quell’anno, infatti, molti altri guerrieri normanni vennero nell’Italia Meridionale per mettersi al servizio dei vari principi come soldati mercenari. Non passò molto tempo che il capo di una banda di cavalieri: Arnolfo Drengot ottenne, per essersi distinto nella guerra tra il principe longobardo di Capua e il duca di Napoli, in dono da quest’ultimo, nel 1030, la fortezza di Aversa e la terra circostante. Dando vita cosi al primo possedimento normanno nella penisola italiana. Le grandi conquiste dei Normanni nell’Italia Meridionale furono opera principalmente di una sola famiglia, quella di Tancredi di Altavilla o Hauteville, una località nei pressi di Coutances in Normandia. Egli  aveva avuto undici figli e poiché non era ricco, alla sua morte non potevano aspettarsi granché: fu per questo che cinque di loro decisero di cercare fortuna in Italia.

La dinastia degli Altavilla.

I due figli di Tancredi: Guglielmo e Roberto detto il “Guiscardo” riuscirono a strappare ai bizantini le province di Puglia e Calabria.  Roberto dopo essersi alleato con il Papa, dichiarandosi suo fedele vassallo, conquistò nel 1071 la città di Bari, segnando la fine del dominio bizantino nella penisola. Nel frattempo suo fratello Ruggero I intraprese la conquista della Sicilia, dilaniata dai conflitti interni tra i vari Emiri arabi. I due fratelli, coalizzati, riuscirono a prendere Palermo ma la conquista di tutta la Trinacria non fu impresa semplice, gli arabi vendettero cara la pelle; e solo nel 1091 Ruggero ottenne il titolo di Conte conquistando l’intera isola. Boemondo, figlio di Roberto, partecipò da buon cristiano alla prima crociata, durante la quale conquistò Antiochia e ne divenne il signore; fondando cosi un nuovo stato normanno che duro per quasi 200 anni. Nel 1101, unico capo dei Normanni rimase Ruggero II, figlio del conquistatore della Sicilia. Di tutti i possedimenti normanni in Italia, che comprendevano la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campania, decise di formare un’unica grande Stato: il Regno di Sicilia. Nel giorno di Natale del 1130 Ruggero II si fece incoronare Re di Sicilia nella Cattedrale di Palermo. Per i successivi cinquant’anni, e oltre, il Regno di Sicilia fu il più grande Regno d’Europa: di carattere per metà orientale e per metà europeo, fu un Paese ricco culturalmente, politicamente e finanziariamente. In nessun altro Regno uomini di tante lingue e religioni diverse riuscirono a convivere pacificamente. Si evince dalle fonti tale coesione: è noto che alla corte del re Ruggero II vi erano notai di etnia latina, bizantina e araba. Dopo questo grande splendore, sparirono silenziosi dal palco della storia. Ultimo monarca di discendenza normanna fu la Regina Costanza I, consorte di Enrico VI di Svevia della dinastia  Hohenstaufen (discendenti del Barbarossa), e madre di Federico II.  Sul popolo normanno  torneremo in un prossimo articolo, analizzando in maniera più dettagliata la grandi imprese  di questa civiltà, dalle loro origini alle loro conquiste.

Cancelleria di Ruggero II- da notare: I notai greci, i notai latini e i notai arabi.

Intanto a Maratea.

La storia del nostro piccolo paese in tempi antichi risulta lacunosa, con poche fonti e molte ipotesi. Possiamo affermare che dall’XI secolo iniziano le prime fonti scritte che testimoniano la presenza di un piccolo abitato, arroccato al riparo sulle montagne. Come tutto il meridione, anche Maratea subì l’alternarsi di vari domini, come abbiamo avuto modo di spiegare nel corso dell’articolo. La fase di dominazione longobarda sembra essere poco chiara, sappiamo da fonti certe che il territorio comprendente anche la nostra Maratea, era dominato dal principe Gisulfo di Salerno. Nell’849 re Radelchi, riconobbe a Siconolfo, uno dei suoi duchi, il possesso di tutta la parte costiera del Ducato, affacciata sul Tirreno e sullo Ionio. Dopo varie lotte interne tra i duchi il principato conobbe la massima espansione fra il 1039-1047, anni in cui stavano facendosi largo i normanni nella contea di Aversa. Dopo essere stati sconfitti dai normanni guidati da Roberto “Guiscardo”, che assediò e distrusse Policastro nel 1057, le terre sotto il principato subirono una nuova riorganizzazione. Proprio in tale occasione vediamo nominare gli abitati di Maratea e di Castrocucco, nella notissima bolla dell’Arcivescovo Alfano I di Salerno.

Maratea, Castello.

Nuovo ducato, nuova diocesi.

Papa Niccolo II il 3 agosto 1059 tenne un sinodo a Melfi, al quale parteciparono tutti i vescovi del meridione. Sempre in quell’occasione fu stipulato il Concordato di Melfi (capitale normanna) che determinò l’accordo tra la Chiesa e la famiglia normanna degli Altavilla, alla quale venne concessa autorità sul Ducato di Puglia e Calabria. Nel 1077 fu presa la città di Salerno che divenne la nuova capitale del ducato normanno. Il 22 ottobre 1067 l’Arcivescovo di Salerno Alfano I, dette mandato al monaco Pietro Pappacarbone di prendere possesso della diocesi di Policastro e di introdurre il rito latino nelle chiese e nei monasteri delle nostre terre che erano rimaste in parte sotto il controllo bizantino e con il rito greco. Nel 1079, Pietro Pappacarbone, fu consacrato Vescovo di Policastro dall’Arcivescovo di Salerno Alfano I e, sotto Papa S. Gregorio VII, riceveva la consacrazione episcopale. Fu il primo Vescovo dopo la restaurazione della sede vescovile nell’area Bussentina; con tale nomina furono aggregate a Policastro, le parrocchie di: Porto (Sapri), Marathia, Castrocucco, Turtura, Laeta, Didascalea, Languenum (Laino), Avena, Mercuri, Abatemarco. Documento importantissimo che testimonia la presenza e l’importanza di due centri sul territorio marateota ben distinti tra loro, ovvero la cittadina  e il castello di Castrocucco, aventi due parrocchie separate. Si attesta così anche l’importanza del castello di Castrocucco, fortificazione di origine antica, passata in mani longobarde, poi normanne in questo periodo specifico.  Probabilmente nel 1098 la parrocchia di Maratea venne separata dalla diocesi di Policastro per un breve perido, passando sotto quella di Cassano, per poi ritornare di nuovo sotto Policastro. Essendo un momento transitorio, tra diocesi con rito latino e altre con rito greco, non possiamo avere la certezza e l’esatta durata del  cambiamento. Con la caduta del principato di Salerno i territori di Maratea passano sotto il definitivo controllo normanno, ma come era la cittadina del X secolo? L’avvicendarsi delle epoche e dei vari eventi a essa connessi non permette di fare luce sull’esatta conformazione del borgo. Possiamo ipotizzare come doveva essere facendo il confronto con borghi non lontani, con la stessa conformazione e dominazione.  Pensate a tipologie di borghi fortificati come: Guardia Perticara, Acerenza, Craco; ma anche borghi sulla costa e nell’entroterra calabro come: Guardia Piemontese, San Marco Argentano, Gerace, Altomonte. Moltissimi sono i paesini che condividono l’urbanistica altomedievale, con caratteristiche simili tra loro.

Torre Normanna, Guardia Piemontese.

Un borgo nell’XI secolo.

Il termine borgo deriva dalla parola latina “Burgus”, con la quale i romani indicavano le torri erette come sistema di difesa contro le civiltà barbare. In Germania la parola “burg”, dal XII secolo, passava a indicare la rocca feudale, in Italia essa rimase a designare un più vasto aggregato edilizio. Edificio dalla primaria importanza era una torre, dalla quale il Gastaldo (termine longobardo utilizzato a indicare l’amministratore della Curtis del re) deteneva il potere e risiedeva con la sua famiglia. Costruzione dalla sicura presenza ma dalla difficile sistemazione nel borgo di Maratea superiore; sono state elaborate molte ipotesi ma purtroppo dai vari rifacimenti sono andate perdute molte tracce. Oltre alla torre era di fondamentale importanza un altro edificio: una chiesa. Come abbiamo già spiegato nel corso dell’articolo Maratea nel X-XI secolo era una diocesi, quindi vi era la sicura presenza di un luogo di culto, sicuramente non come la stupenda basilica romanica che vi è oggi, ma un edificio più piccolo e semplice. Probabilmente doveva trattarsi di un edificio con una sola navata centrale e un abside, con solide mura in pietra e un tetto con una copertura lignea. 

Le mura raccontano la storia di una città.

 Le mura raccontano davvero la vita una città, infatti sono i primi elementi a stabilire l’alternarsi delle dominazioni e del susseguirsi del tempo. Possono essere abbattute segnando un evento tragico, ricostruite, modellate a seconda del tempo e delle armi costrette a fronteggiare. Nel X-XI secolo molti piccoli insediamenti erano fortificati, sfruttando quando possibile, la morfologia del territorio. In seguito alle invasioni barbariche, alle lotte fra proprietari terrieri e alla necessità di protezione, ha avuto inizio il fenomeno “dell’incastellamento”. Fenomeno che si nota sul tutto il territorio Europeo e Italiano, guardando la massiccia presenza di fortificazioni e piccoli borghi arroccati sui monti e le colline. Maratea superiore aveva probabilmente una cerchia di mura, sicuramente diverse dai pochi resti che ne restano visibili (magari esempi dell’ultimo intervento del XVI sec.). Facendo paragoni con centri simili sorti nello stesso periodo, possiamo ipotizzare una cerchia di mura che, seguendo la linea del monte chiudeva gli accessi sia dal lato esposto verso il mare, sia da quello esposto verso i monti. Non dobbiamo pensare a mura di enormi dimensioni e spessore, con molta probabilità nel X Secolo erano semplici, di materiale vario e non molto alte. Bastava poco per creare una fortificazione: scavare un fossato, ammassare la terra scavata e sormontarla di palizzate o muri di pietra. Lo spessore poteva variare a seconda del punto da difendere, certamente nei passaggi più esposti al nemico era maggiore. Nel corso dei secoli le mura di Maratea hanno ricevuto vari interventi di consolidamento e ricostruzione, poi lasciate allo sfacelo del tempo dopo l’assedio francese del 1806. Lungo il percorso le mura erano intervallate da torri quadrangolari per una maggiore difesa; si notano le porte d’accesso, sorvegliate dai bastioni. Le porte erano due e denominate: “dei carpini” e “ Santa Maria”, la prima chiudeva l’accesso che dal monte porta alla valle sottostante, seguendo appunto il sentiero nel carpineto; mentre l’altra chiudeva l’accesso via mare che collegava le frazioni di Santa Caterina e di Massa. Il centro abitato doveva essere molto diverso da quello odierno, le case avevano piccoli orti e cisterne per la raccolta dell’acqua, si avevano forni per la cottura del pane; vi erano stalle e ricoveri per gli animali. Il paesaggio intorno alla rocca del castello era pulito, non vi dovevano essere alberi per offrire riparo al nemico, né altre costruzioni di sorta. Tale potrebbe essere uno dei motivi per il quale non vi sono resti di strutture antistanti le mura fino all’epoca recente.

Resti del Castello di Castrocucco

Una storia che prosegue.

Si possono formulare molte ipotesi e molte congetture sull’esatta urbanistica del borgo, ma dei veri e propri scavi o lavori di riqualificazione non sono mai stati eseguiti. Stesso discorso vale per il castello di Castrocucco, esempio meraviglioso di fortificazione Longobarda-Normanna, che ancora si erge maestoso come guardiano silenzioso della foce del fiume Noce. Argomento che tratteremo nell’articolo dedicato al popolo Normanno, cercando di mostrare oltre alle qualità belliche anche le qualità ingegneristiche e architettoniche di questa civiltà. Proveremo a guardare la fortezza con occhi diversi, immaginando le sue fasi costruttive dall’inizio fino al lento decadimento al quale ora è abbandonata. Un vero peccato lasciare al tempo monumenti e luoghi che rappresentano la nostra storia, proprio ora dove è evidente un calo d’interesse verso l’antico. Noi siamo la nostra storia, non dobbiamo dimenticarne l’importanza, altrimenti potremmo correre il rischio di dimenticare noi stessi.

Francesco Maria Monterosso

Francesco Maria Monterosso

Sono Francesco e nella vita faccio molte cose, forse troppe. Studio Archeologia e Storia, nel tempo libero mi diletto in progetti di Archeologia Sperimentale, Rievocazione Sorica e Divulgazione con scopo didattico.

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