fbpx

Il Carnevale nella storia di Maratea e i suoi significati sociali

Pensare che il Carnevale sia un fatto nuovo nella storia della nostra Comunità è un errore. Gli eventi che si chiudono oggi, a termine della quindicesima edizione del moderno Carnevale di Maratea, ne sono solo la manifestazione più recente.

Il Carnevale di Maratea del 2014

La morte di Carnevale.

La parola Carnevale deriva dall’espressione latina carnem levare, in riferimento alla Quaresima, che comincia dal successivo Mercoledì delle Ceneri.
Al di là dei parallelismi con le festività antiche, Romane o pre-cristiane di diversa natura, il corpo di tradizioni che è giunto sino a noi ha senz’altro origini moderne. L’essenza di Carnevale era il sovvertimento di una quotidianità di miseria e fame, attuato con il mascheramento e il banchetto, proprio alla vigilia del periodo di penitenza della Quaresima.

La morte del personaggio di Carnevale era, in questo senso, la rappresentazione visiva della fine del momento fuori dalla norma e l’inizio della contrizione quaresimale.

Successivamente, il personaggio eponimo è pressoché scomparso – così come la rappresentazione della sua morte – lasciando spazio alle maschere regionali tradizionali. La Basilicata difetta di una propria maschera genuina: solo in alcuni paesi persistono rappresentazioni antropomorfe di figure ancestrali e bestiali, come la personificazione della Quaresima o il Toro e la Mucca (a Tricarico).

Dalla metà del XX secolo alle maschere si sono affiancati i carri allegorici, la cui sfilata rappresenta, oggi, il momento principale della festa, in linea con una tendenza alla spettacolarizzazione propria di quasi tutti gli eventi contemporanei.

Le maschere ottocentesche.

Il Carnevale marateota nel XIX secolo era vissuto principalmente in due modi: il mascheramento e gli spettacoli nel teatro comunale.

Regolamento di Polizia di Maratea del 1847

Le maschere erano molto diffuse, tanto che, nel 1847, il Regolamento di Polizia cittadino ne dovette regolare l’uso. Si stabilì che si potesse girare mascherati per il paese «dal giorno diciassette gennajo [sic] insino alla vigilia del sacro dì delle Ceneri, per tutt’i giorni, esclusi i soli venerdì, e dalle ore 19 fino alle 23 e mezza, eccetto il mattino, e la notte. Sarà vietato alla maschera, tutta o parte, ed anche ad una sola di esse, di passare ad ora di vespro innanzi la chiesa, o d’avanti le cappelle, dove vi sia riunione di gente per le pratiche religiose, o girare intorno ad esse, dovendo in tal caso prendere altra direzione.  Inoltre uscendo qualche processione religiosa, all’annunzio, che se ne pubblicherà, o per mezzo delle campane, o da altre genti, la maschera dovrà subito nascondersi, e non comparirà in pubblico, se prima detta processione non sarà rientrata in chiesa». Poi, tutti coloro che volevano mascherarsi dovevano darne comunicazione al sindaco o al primo eletto. Restavano comunque proibite «le maschere dei pazzi, indecenti, e clamorose, e l’uso di quelle che presentassero figure disaggradevoli, e mostruose».

Il memorabile Carnevale del 1849.

Il Carnevale era anche uno dei momenti dell’anno in cui si attivava più vivacemente il teatro comunale. Posto nei pressi dell’attuale Piazza Europa, il teatro venne costruito sul finire del XVII secolo e dedicato, in principio, per lo più a rappresentazioni religiose. Dopo il decennio francese (1806-1815) vennero sdoganate anche le rappresentazioni profane.

All’interno del teatro comunale e durante il Carnevale avvenne uno dei fatti più memorabili del biennio rivoluzionario 1848/1849. Dopo l’assassinio del deputato Costabile Carducci (1804-1848) avvenuto sulla spiaggia di Acquafredda, un poeta estemporaneo, tal Carlo Gallotti, venne a stabilirsi a Maratea.

Deposizione originale del 1848

L’anno dopo, «l’ultima sera di Carnevale» si legge in una deposizione di uno dei molti processi politici tenuti dalla Corte criminale di Potenza, la popolazione «si recò al teatro di Maratea per gustare un’accademia, che si disse davasi da don Carlo Gallotti. Dopo l’intervento di mezzo paese tra uomini e donne, col biglietto a paga di un carlino per ciascun individuo, il Gallotti salì sulle scene con una tale donna Agnesina sua compagnia nell’improvvisare, ed al suono dell’arpa e della chitarra francese da essi loro toccate contarono su vari argomenti prescelti da’ tanti dati da galantuomini […]. Verso l’ultimo poi le cennate persone spontaneamente dissero che volevano cantare sulla morte di Carducci, come fecero senza inviti o premura di altri. In seguito di pochi giorni s’intese cantare la stessa canzone in ogni angolo del paese […] fino a luglio ultimo».

Chiunque cantava questa canzoncina veniva denunciato alla polizia politica del regno borbonico. A Maratea ci furono decine e decine di denunce, una delle quali commutata a un bimbo di 4 anni, sospettato di cospirazione allo scopo di rovesciare il governo di Sua Maestà soltanto perché batteva le mani al ritmo della canzone…!

Il Carnevale fascista senza maschere.

Sotto il Fascismo, il Carnevale di Maratea non doveva essere particolarmente colorato. Una ordinanza del podestà di Maratea del 9 febbraio 1929 ordinava che «in occasione del Carnevale è vietato assolutamente l’uso della maschera. Il contravventore può essere arrestato ed è punito con l’ammenda da lire 100 a 1000».

Ordinanza del podestà del 1929

Carnevale ricettore di cultura pop.

La manifestazione contemporanea del Carnevale è un momento molto interessante per qualche riflessione sociologica e sulla ricezione di elementi della cultura pop da parte della nostra comunità e di quelle vicine.

A un primo sguardo, il Carnevale sembrerebbe aver perso il suo carattere allegorico e di rovesciamento dei ruoli sociali, per cui il mascheramento avverrebbe senza una logica simbolica di qualche tipo. La scomparsa, o quantomeno il ridimensionamento delle maschere tradizionali nell’economia del patrimonio simbolico, inoltre, costituirebbe l’evidenza dello snaturamento dei caratteri veri e autentici della festa.

Batman al Carnevale 2017

È chiara l’ingenuità di tali considerazioni. Primo, tutte le manifestazioni della ritualità umana, quali sono le feste, non hanno mai dei caratteri definiti una volta per tutte in un determinato momento storico e quindi immutabili, per cui una loro variazione comporta uno snaturamento o, addirittura, una perdita di senso. L’evoluzione e il cambiamento sono, anche in questo ambito, processi ineludibili. Secondo, le caratteristiche di base del Carnevale sono, tutt’oggi, vive e presenti, ma esiste una oggettiva difficoltà nell’individuarle a causa della evoluzione della società contemporanea e alla riformulazione dell’immaginario culturale di riferimento.

Se per i nostri antenati Pulcinella, Arlecchino, lo stesso Carnevale e le altre maschere tradizionali erano simboli immediatamente comprensibili e rapportabili a determinati caratteri, individuabili anche per negativo (cioè dal loro opposto), ora quelle caratteristiche non rispondono con la stessa immediatezza agli stimoli e ai problemi della società contemporanea.

Lupin III al Carnevale 2015

Se in passato erano la fame e la miseria i pilastri della quotidianità da esorcizzare, oggi, specie nei nostri piccoli paesi, sono il conformismo e la povertà del patrimonio culturale-simbolico da cui attingere per la formazione dell’identità individuale a caratterizzare la società che si vuol vedere, nei giorni di Carnevale, rovesciata o almeno alterata.

Ecco allora che le ragazze e i ragazzi delle nostre piccole comunità, cresciuti ed educati secondo i comandamenti dell’etica e dell’estetica piccolo-borghese, adottati acriticamente da pressoché tutta la società italiana – e che negli ultimi quattro o cinque decenni, nel Mezzogiorno, si sono mischiati a ciò che restava della ormai stereotipata e cosiddetta “cultura contadina”, dando vita a caratteristiche proprie e, talvolta, molto originali – per qualche ora svestono quelle rigide vesti per indossare la maschera del personaggio che, il più delle volte, meglio incarna il/gli elemento/i caratteriali propri repressi da quei comandamenti.

L’immaginario di riferimento, come detto, non è più quello della Commedia dell’arte italiana. Il cinema fornisce il principale serbatoio, in linea con ciò che avviene in tutto il panorama culturale occidentale, e, nel nostro caso d’interesse, principalmente con le produzioni degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso.

Il gigantesco Batman, sfilato nel Carnevale marateota del 2017, non si richiamava al personaggio del fumetto creato da Bob Kane (1915-1998) nel 1939, quanto, piuttosto, alla trasposizione cinematografica di Tim Burton del 1989 e ’92 (con qualche cessione alla versione cartoon della serie degli stessi anni, peraltro derivata da quei film).

Zorro al Carnevale 2019

Stesso discorso per i personaggi letterari più o meno celebri. Ad esempio, Zorro, sfilato al Carnevale del 2019. Personaggio letterario di scarsissima fama in Europa, creato nel 1919 da Johnson McCulley (1883-1958), in Italia divenne noto grazie a una serie tv del 1957 e poi, più recentemente, a due film diretti da Martin Campbell (1998 e 2005).

Anche il prodotto televisivo ha il suo peso. L’Arsenio Lupin sfilato nel Carnevale del 2015 non è il personaggio uscito dalla penna di Leblanc, bensì il suo nipote giapponese, creato dal mangaka Monkey Punch (Kazuhiko Katō, 1937-2019) nel 1967 ed arrivato in Italia in versione cartone animato a inizio anni ’80.

La banda de La casa di carta al Carnevale 2019

Se Lupin III è un caso di persistenza pluridecennale nell’immaginario nostrano, il prodotto televisivo pare impiegare più tempo a farsi strada, probabilmente a causa di un’attribuzione di minor prestigio rispetto al prodotto cinematografico, che viene accolto più immediatamente. Eccezione alla regola, negli ultimi anni, è stato unicamente – a mia memoria – il caso de La casa di carta, serie tv spagnola del 2017 diffusa in tutto il mondo grazie alla piattaforma Netflix, apparsa con un carro nel Carnevale dello scorso 2019.

E noi dove siamo?

Quando il giovane Umberto Eco (1932-2016) dedicò un saggio ai personaggi dei fumetti più diffusi della sua epoca, i suoi colleghi lo derisero apertamente. La resistenza del mondo intellettuale italiano allo studio dei simboli e dell’estetica della cultura pop è ben nota e, ancora oggi, molto diffusa. Valga da esempio, oltremodo pertinente, la sufficienza ricevuta e la scarsa considerazione goduta dalle studentesse e dagli studenti delle scienze della comunicazione – probabilmente l’ambito più importante di applicazione delle scienze sociali nel nostro secolo – in ambito universitario (e non solo) lungo la nostra Penisola.

Il rifiuto di affrontare la materia è ancora più evidente nei luoghi (ideali o fisici) della cultura nei nostri paesi di provincia. Il risultato non è soltanto la difficoltà, evidentissima, di leggere i simboli della cultura pop che vengono irradiati senza sosta dai media – un fatto, di per sé, già importante – ma anche la ancor più evidente incapacità di mettere in circolo in quella cultura dei simboli propri, più vicini alla nostra quotidianità e alla nostra identità sociale.

Se, secoli fa, i contadini medievali ricevevano una propria e specifica rappresentazione nei grandi cicli di mosaici e affreschi delle cattedrali gotiche di tutta Europa, oggi, intere fette di società sono confinate in un ruolo esclusivamente passivo di fronte alle grandi narrazioni mediatiche: ricevono soltanto e ricevono acriticamente.

Il gladiatore al Carnevale 2011

Anche per ciò che è più squisitamente e storicamente italico siamo costretti ad affidarci alle rappresentazioni forniteci dell’industria culturale d’oltreoceano: Il gladiatore rappresentato nel carro allegorico sfilato nel Carnevale di Maratea del 2011 era, ovviamente, modellato a figura di quello del film di Ridley Scott di dieci anni prima.

Dov’è la vita dei nostri paesi in tv? Dove sono i problemi dei nostri giovani al cinema? Quale eroe dei fumetti estremizza eroicamente i nostri ideali?
L’industria culturale italiana è notoriamente povera di mezzi e, ancor più, di idee, schiacciata in un eterno provincialismo dalla concorrenza straniera. Anche in questo caso, valga un solo e pertinente esempio: la rappresentazione eternamente stereotipata del Mezzogiorno e dei meridionali al cinema e in tv…

Per rovesciare l’attuale situazione, il contributo, da parte nostra, non può che partire da una più attenta e certosina indagine sul nostro piccolo mondo – della sua storia e dei suoi motivi strutturali odierni – che non ceda a facili semplificazioni. Così come lo studio della storia è inutile e persino nocivo se visto come la riscoperta di presunti ideali identitari e congeniti da riaffermare astoricamente nel presente (ed è, ahimè, un malinteso piuttosto diffuso), sarà importante, nell’immediato futuro, concedere più fiducia alle scienze sociali e al grande patrimonio teorico che hanno da offrire.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

Potrebbero interessarti anche...