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Animali pleistocenici e dove trovarli: i reperti di Grotta Lina a Marina di Maratea

Maratea è ricca di tesori archeologici. Tra questi ci sono i reperti di Grotta Lina: centinaia di frammenti ossei di animali pleistocenici, ritrovati tra il 1988 e il 1995 da un gruppo di ricercatori delle università La Sapienza di Roma e Federico II di Napoli.  Scopriamo nel dettaglio in cosa consistono e dove si trovano ora.

Il territorio di Maratea nel pleistocene.

La prospettiva dell’essere umano è a dir poco miope. Tendiamo per natura a supporre che le cose siano sempre state in qualche modo come le vediamo intorno a noi. Non ci rendiamo conto che, in realtà, il Tempo è un predatore famelico, che modifica e distrugge ogni cosa, poco importa siano cose materiali (palazzi, città, tombe) o immateriali (usi e costumi, lingue, ecc.).

Anche cose apparentemente immutabili vengono modificati. Come il paesaggio, inteso non solo come la composizione della vegetazione, ma anche nelle linee orografiche e geologiche.

È possibile ricostruire a grandi linee questi aspetti grazie ai segni che le modificazioni hanno lasciato sulle rocce o, come vedremo, grazie ai reperti faunistici (che ci fanno comprendere in maniera empirica le variazioni del clima). 

Nel Pleistocene, cioè la prima era del Quaternario (il periodo geologico perdurante), si susseguirono diverse glaciazioni. Nei periodi glaciali il livello del mare si abbassava di molti metri, lasciando emergere parte della piattaforma marina. Al contrario, nei periodi interglaciali (cioè i periodi più caldi tra un picco freddo e l’altro) lo scioglimento dei ghiacciai faceva innalzare la linea di costa si alzava al di sopra dell’attuale livello del mare.

Secondo uno studio basato su dati geologici della costa di Maratea, nel periodo interstadiale caldo della glaciazione la linea di battigia si trovava tra 2 e 5 metri più in alto di oggi. Poi, nel picco di freddo, scendeva a ben 100 metri al di sotto. Per capirci, quella che è oggi l’isola di Santo Janni appariva come un promontorio alto quanto l’odierna Punta Caina.

I reperti di Grotta Lina.

La teca con i reperti di Grotta Lina quando erano esposti a Palazzo De Lieto.

A diversi climi e paesaggi conseguivano diverse composizioni faunistiche.

Lungo la costa di Marina di Maratea, nelle circostanze di sopra riportate, fu rinvenuto un giacimento di centinaia di reperti faunistici risalenti al Pleistocene. La grotta fu battezzata come Grotta Lina in onore della scopritrice, la paleontologa Carmelina “Lina” Barbera. 

Le ossa si sono accumulate lì perché la grotta ha un’apertura sulla volta. Nel corso dei secoli, le povere bestie che vi cadevano morivano di colpo o di stenti. Come risultato, i paleontologici hanno guadagnato un tesoro di reperti, variegati a seconda dei climi che si susseguivano.

Al periodo più freddo risalgono i resti di orso delle caverne (Ursus spelaeus), stambecco alpino (Capra ibex), leone delle caverne (Panthera leo spelaea) e lupo grigio (Canis lupus), i quali suggeriscono un ambiente steppico. Nel graduale miglioramento climatico resistevano esemplari di orso grigio (Ursus arctos) cervo nobile (Cervus elaphus), cervo gigante (Megaloceros giganteus), capriolo (Capreolus capreolus), daino (Dama dama), volpe rossa (Vulpes vulpes), cinghiale (Sus scrofa) e uro (Bos primigenius). Con il graduale caldo la steppa lasciò spazio a una prateria con qualche bosco termofilo (suggerito dai cervidi). Ai picchi di clima caldo risalgono i reperti di leopardo (Panthera pardus), iena maculata (Crocuta crocuta) e non meglio identificati rinocerontidi (genere Stephanorhinus).

Dove sono ora i reperti?

I reperti, come detto, sono centinaia. Ma solo una manciata ha dimensioni superiori al frammento. Appunto quelli più grandi sono stati esposti per qualche anno in una teca all’interno della mostra archeologica a Palazzo De Lieto.

Come sappiamo, già prima dello scoppio della pandemia della Malattia da Nuovo Coronavirus, la mostra è stata chiusa al pubblico e poi smantellata. Tutti i reperti lì presenti, salvo alcune ancore romane, ora giacciono nel magazzino del Centro Operativo Misto della Soprintendenza, nei locali dell’ex convento dei Padri Cappuccini. Tra questi ci sono anche i reperti di Grotta Lina.

Ho già dedicato un altro articolo alla scelta scellerata di smantellare la mostra archeologica. In questa sede voglio solo fare una considerazione su cosa può significare per una Città come la nostra lasciare dei reperti come quelli di Grotta Lina in una scatola.

Magari si potrebbe pensare che dei reperti di animali morti migliaia di anni fa interessi a troppo pochi perché possano fare la differenza nell’offerta culturale e turistica di una cittadina. Eppure, non tutti sanno che la Città di Roma ha dedicato un intero museo a un giacimento di reperti simili che, in proporzione, non è così più ricco del nostro: si tratta del Museo del Pleistocene di Casal de’ Pazzi.

Forse può passare solo come una piccola provocazione, ma… se la città di Roma – che ha uno dei più grandi patrimoni archeologici al mondo – ha dedicato un intero museo a reperti che noi abbiamo ricollocato in una scatola, non varrebbe la pena di pensare di dedicar loro almeno una saletta o anche solo di nuovo una piccola teca da qualche parte?

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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