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Delitto e castigo nella Maratea del 1889

Cartolina del 1960 ed- Nicola Calderano

Cartolina del 1960 ed- Nicola Calderano

Contrariamente a quel che si potrebbe credere popolarmente, lo studio della Storia non consiste nel mettere in fila in fatti accaduti in un determinato luogo in un lasso di tempo più o meno lungo. La storiografia semmai è la ricerca dei meccanismi che hanno portato alle trasformazioni sociali ed economiche di una comunità o di un popolo.
Tuttavia, talvolta lo storico scova in un evento che da solo affascina o che, proprio perché contrario alla quotidianità di una realtà, stuzzica la nostra curiosità.
È di uno di questi che scrivo oggi: il caso dell’omicidio del maestro Adinolfi.

Il fatto.

Maratea, giovedì 24 gennaio 1889.
Intorno mezzanotte una pattuglia dei Reali Carabinieri si imbatté in un cadavere. Era quello di Emidio Adinolfi. In paese tutti lo conoscevano: era un maestro di scuola elementare.
La moderna scuola elementare comunale di Maratea venne aperta nel 1862, ma soltanto dall’anno scolastico 1888/1889 si ebbe l’obbligo di frequenza. Il conseguente aumento degli scolari obbligò il Comune – all’epoca gestore dell’istituzione – ad assumere nuovi maestri, per cui si dovettero prendere anche insegnanti forestieri. Fu il caso di Adinolfi, nativo di Fratte di Salerno.
Adinolfi arrivò a Maratea ventinovenne. Poteva essere un bell’uomo, forse un dongiovanni… di certo era un ottimo partito per le giovanette marateote, considerando lo stipendio fisso…!
Proprio questo parve subito il movente del suo assassinio. In Maratea subito si sparse questa sensazione: «Giovane e intelligente, buono, generoso e simpatico – si legge in un giornale dell’epoca – fu vittima di imprudenze giovanili, per cui fu trascinato a facili amori, i quali […] scoppiarono contro di lui in odio feroce».
La sera stessa del rinvenimento del corpo, i Carabinieri arrestarono un’intera famiglia. Intanto la comunità gli diede l’ultimo saluto: «La cittadinanza di Maratea, – si legge nello stesso articolo – per solito non abituata a delitti di sangue, commossa dallo spaventevole avvenimento, accompagnò all’ultima dimora, insieme con l’autorità e la banda musicale, la salma del povero giovane, a cui era riserbata una fine così orribile, per quanto impreveduta!».

Le assassine.

Poco dopo il suo arrivo a Maratea, Adinolfi si fidanzò con una ragazza del paese, una certa Caterina Di Puglia. Questo fidanzamento venne poi rotto e il maestro ne contrasse un altro con Marianna Lammoglia.
Il fatto che il cadavere venne trovato di fronte la casa dei Di Puglia sembrava una prova schiacciante. Caterina, che già aveva dato pubbliche scene di gelosia, aveva forse ucciso l’amato in un raptus. Ma si capì ben presto che le cose non stavano così.
Marianna Lammoglia sembra non fosse quella che possiamo definire come una ragazza virtuosa. Nel dibattimento emerse che Adinolfi stava per rompere anche il fidanzamento con lei, poiché aveva avuto prova che Marianna lo tradiva con alcuni dei suoi stessi scolari! (La cosa non deve sorprenderci perché nel XIX secolo le elementari potevano essere frequentate anche da ragazzi più grandi di quelli a cui siamo abituati oggi).
Ne erano nati litigi e frizioni con la famiglia di lei. Marianna lo aveva anche minacciato più volte.
La sera del 24 gennaio Adinolfi era stato invitato a casa Lammoglia. Lì venne pugnalato all’inguine.

Processo e condanne.

«Accusati Biagio Lammoglia, – si legge nel sunto della sentenza – padre della Marianna, costei e le due sue sorelle, Francesca e Serafina, quest’ultima addossò tutta la responsabilità sulla Francesca, che, sorridendo, se l’assunse. Ma la voce pubblica e la stessa accusata esclusero affatto la colpabilità della Francesca, come pure l’escluse il verdetto dei giurati, negativo anche a riguardo del padre, e affermativo per le altre due […]. Interessante fu il dibattito sulle aggravanti e sulle scuse. Erano in discussione la prodizione, perché l’Adinolfi sarebbe stato invitato con un biglietto della Marianna a recarsi in casa […], la premeditazione, la forza semi-irresistibile, desunta dal fatto che l’Adinolfi aveva promesso alla Marianna, dopo coltone il fiore verginale, di farla sua sposa; la grave provocazione, nell’ipotesi che l’ucciso si fosse recato dalla Marianna non come amico, ma come nemico: tutte questioni eleganti, e tali da appassionare il giurista più del fatto in sé, uno dei soliti drammi della gelosia, dove Marianna, secondochè [sic] disse uno degli avvocati difensori, fa la figura della Traviata, con la differenza che questa muore ed essa uccide».
Francesca e Serafina furono le uniche condannate. La pena fu di 15 anni di lavori forzati.

Come al giurista, allo storico più del fatto in sé interessa la maniera in cui il tutto venne raccontato: “normalizzato” l’omicidio quale caso di gelosia, l’opinione pubblica poteva continuare la sua quotidianità, senza domandarsi quanto la pruderie ottocentesca pesasse sulla società e che risvolti avesse sulla vita delle donne.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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