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I primi abitanti del territorio di Maratea: i neandertaliani nelle grotte di Fiumicello

Quali sono stati i primi Uomini ad abitare sulla costa di Maratea?
La domanda è molto interessante. La Storia propriamente detta, infatti, inizia proprio con loro: la Storia di un territorio inizia quando l’Uomo comincia ad abitarlo. I tempi precedenti al popolamento umano non sono di competenza dello storico, bensì del geologo, che del territorio studia la formazione e lo sviluppo.

Nota: questo scritto è la fedele trasposizione di quattro pagine del primo capitolo della Storia di Maratea compresa nel mio progetto noto come Enciclopedia di Maratea. Colgo l’occasione per assicurare che il progetto è in svolgimento e vedrà la luce non appena gli impegni di vita e di lavoro mi permetteranno di sbobinare completamente le quasi 50.000 (cinquantamila) pagine di documenti d’archivio che ho raccolto negli ultimi 11 anni in giro per l’Italia.
Il primo popolamento umano.

La penisola italiana è abitata da esseri che possiamo qualificare Uomini da circa un milione di anni. Nel territorio dell’attuale Basilicata il popolamento sembrerebbe iniziato settecentomila anni fa.

La prima specie di Uomo ad aver popolato l’Europa pare sia stata l’Homo habilis, a cui è succeduto l’Homo erectus o ergaster, da cui poi hanno avuto origine i diversi tipi di Homo sapiens. Tutte queste specie vivono nomadi, sono cacciatori e raccoglitori dei frutti spontanei. La loro vita è un continuo e ininterrotto migrare in terre dove si insediano fin quando non ne consumano le risorse. I siti archeologici in cui lo studioso trova le loro tracce, quindi, non vanno intesi come abitati o insediamenti stabili, ma solo come le tappe temporanee del loro cammino senza fine.

Nel golfo di Policastro i siti preistorici più antichi sono quelli di Cala Bianca e Cala Arconte, presso Marina di Camerota, e di Rosaneto, a Tortora, dove sono stati trovati reperti del Paleolitico inferiore. Molti studiosi hanno ignorato che, negli ’70 del XX secolo, l’archeologo Pietro Colacicchi (1937-2014), professore all’Università di Siena, scoprì che il sito tortorese si espandeva da una sponda all’altra del fiume Noce e toccava quello che ora è territorio di Maratea.

Nei pressi di Castrocucco, Colacicchi trovò reperti di due culture preistoriche, l’Olduvaiano (o Cultura del Ciottolo) e l’Acheuleano.
«L’Acheuleano – scrive Colacicchi – è rappresentato da una ventina di bifacciali, comprendenti alcuni esemplari lanceolati e micocchiani di fine fattura e due hacereaux. La componente bifacciale è accompagnata da elementi su scheggi e da nuclei di tecnica Levallois. […] Nel complesso, l’Acheuleano di Castrocucco, seppure quantitativamente più modesto, richiama esattamente quello della riva sinistra del Noce, suggerendo la stessa attribuzione ad una fase finale di questa cultura. Il complesso su ciottolo – continua l’archeologo –, assai più cospicuo, comprende circa 400 choppers, in marcata prevalenza a scheggiatura unifacciale e di tipo distale, meno frequentemente appartenenti a tipi più complessi, come i latero-distali, i doppi, i “periferici”, gli appuntiti, etc. Accompagnano i choppers alcuni rozzi raschiatoi e denticolati (relativamente poco numerosi), di solito su calotte di ciottolo o schegge comunque a faccia dorsale in parte corticata».

Nonostante il poco risalto ricevuto, i ritrovamenti di Castrocucco sono molto importanti: sono la più antica traccia della presenza umana sul territorio di Maratea e tra le più antiche in quello della Basilicata.

Reperti del Paleolitico inferiore sono piuttosto rari. Le temporanee stazioni di questi Uomini nomadi, cacciatori e raccoglitori, erano all’aria aperta, su terrazzamenti lungo il corso di fiumi, più rari quelli in grotta. Ciò, ovviamente, non ha favorito la conservazione delle loro tracce fino a noi.

I Neandertaliani nelle grotte di Fiumicello.

Gli Uomini del Paleolitico medio hanno lasciato molte più tracce sulle nostre terre. Durante quest’epoca si verifica la glaciazione di Würm, che sconvolge tanto il clima che il paesaggio d’Europa. Le coste del golfo di Policastro, ricche di grotte e altre cavità, offrono comodo riparo agli Uomini di Neanderthal, un cui scheletro è stato ritrovato nella grotta del Poggio a Marina di Camerota. Reperti di quest’epoca sono molto diffusi: se ne sono trovati nella grotta di Mezzanotte presso Sapri, nella grotta di Torre Nave a Tortora, sull’isola di Dino e nella grotta di Torre Talao a Scalea.

Nel 1952 il paleontologo Vincenzo Fusco, professore all’Università Governativa di Milano, decise di intraprendere delle ricerche lungo la costa di Maratea, rimaste, all’epoca, tra le poche non ancora studiate. Già in questo suo primo sopralluogo il prof. Fusco individuò resti di fauna pleistocenica in una delle grotte presso la spiaggia di Fiumicello. Deciso a fare più approfondite indagini, Fusco tornò a Maratea con dei colleghi nel 1957. In questa nuova ricerca, scoprì che la grotta era stata abitata durante il Paleolitico medio.

Le grotte presso la spiaggia di Fiumicello.

«Abbiamo potuto raccogliere – annota Fusco per l’antro più prossimo alla spiaggia –, alcune schegge di quarzite molto rozze, con bulbi di percussione abbastanza evidenti, con piani di percussione preparati, ampi, fortemente inclinati nel pezzo, con lavorazione monofacciale molto semplice, senza alcun ritocco periferico. Il complesso si presenta invero piuttosto povero, tuttavia si può affermare trattarsi di industria musteriana che, per i caratteri descritti, si direbbe di carattere più arcaico del musteriano tipico. Tra i pochi rifiuti di lavorazione e pezzi atipici è interessante notare la presenza di un grosso mezzo ciottolo di quarzite, dal quale risulta staccata una scheggia. Tale rozza industria litica era accompagnata da un esiguo numero di ossa, per lo più scheggiate nel senso della lunghezza e spezzettate, alcune delle quali semicombuste e costituenti presumibilmente avanzi di pasti». Un altro reperto, un raschiatoio «di tecnica musteriana, di forma trapezoidale con fine ritocco lungo uno dei lati maggiori», venne ritrovato nella grotta più lontana dalla riva.

Certamente anche altre grotte della costa di Maratea hanno offerto rifugio agli Uomini di quest’epoca. Per la mancanza di ricerche sistematiche, però, non possiamo sapere quali sono state le più frequentate. Abbiamo notizia certa solo in un altro caso, la cavità di Sotto la Torre, ad Acquafredda, dove negli anni ’90 del XX secolo vennero accidentalmente ritrovati alcuni manufatti musteriani.

Il più antico paesaggio marateota.

I reperti paleolitici, oltre a offrirci delle deboli luci sulla vita degli Uomini dell’Età della Pietra, possono essere usati anche per dedurre come poteva apparire quello che oggi è il nostro territorio.

Per esempio, le grotte alla spiaggia di Fiumicello dovevano apparire molto diversamente agli occhi degli Uomini del Paleolitico medio. Le glaciazioni, come detto, non incidono soltanto sul clima, ma anche sul paesaggio. Il raffreddamento della Terra è tale che il livello del mare, per effetto delle grandi distese di ghiaccio, si abbassa di molti metri, facendo emergere quella che oggi è parte della piattaforma marina. Le grotte a Fiumicello, quindi, dovevano apparire come un rifugio comodissimo lungo la linea di un terrazzamento aperto a monte della costiera pleistocenica.

Al contrario, nei periodi interglaciali (cioè i periodi più caldi tra un picco freddo e l’altro) la linea di costa si alza al di sopra dell’attuale livello del mare, perché lo scioglimento dei ghiacciai versa una grandissima quantità d’acqua in mare.

Secondo uno studio basato su dati geologici, nel periodo interstadiale caldo della glaciazione di Würm la linea di battigia si trova tra 2 e 5 metri più in alto del livello attuale, scesa poi, nel picco di freddo, a ben 100 metri al di sotto. Per capirci, durante il massimo di freddo, quella che è oggi l’isola di Santo Janni appare come un promontorio alto quanto l’odierna Punta Caina.

Le ossa di Grotta Lina.

A diversi climi conseguono diverse faune.
Tra il 1988 e il 1995, un gruppo di ricercatori delle università La Sapienza di Roma e Federico II di Napoli catalogò i reperti di un vasto giacimento di ossa animali scoperto nella Grotta Lina, presso Marina di Maratea. Nel corso di migliaia di anni, in questa grotta si sono ammucchiate le ossa degli animali che hanno popolato il territorio di Maratea durante l’alternanza dei periodi glaciali e interglaciali. La loro catalogazione ci permette di dedurre anche quello che poteva essere l’ambiente floreale.

Teca dei reperti di Grotta Lina

Al periodo più freddo risalgono i resti di orso delle caverne (Ursus spelaeus), stambecco alpino (Capra ibex), leone delle caverne (Panthera leo spelaea) e lupo grigio (Canis lupus), i quali suggeriscono un ambiente steppico. Nel graduale miglioramento climatico resistevano esemplari di orso grigio (Ursus arctos) cervo nobile (Cervus elaphus), cervo gigante (Megaloceros giganteus), capriolo (Capreolus capreolus), daino (Dama dama), volpe rossa (Vulpes vulpes), cinghiale (Sus scrofa) e uro (Bos primigenius). Con il graduale caldo alla steppa si sostituisce, probabilmente, una prateria con qualche bosco termofilo (suggerito dai cervidi). Ai picchi di clima caldo risalgono i reperti di leopardo (Panthera pardus), iena maculata (Crocuta crocuta) e non meglio identificati rinocerontidi (genere Stephanorhinus).

Bibliografia.

Un amico e lettore attento mi ha chiesto recentemente di aggiungere una bibliografia nei miei articoli. Non sempre lo riterrò necessario, ma per quanto riguarda questo articolo consiglio la lettura di: F. Mallegni, Il più antico popolamento umano in Italia, in Italia preistorica, a cura di M. Piperno & A. Guidi, Laterza 1992; V. Fusco, Stazioni del Paleolitico medio in grotte costiere del golfo di Policastro, in «Rivista di Scienze Protostoriche», XVI (1961), pp. 6 ss.; Archeologia, arte e storia alle sorgenti del Lao, a cura di P. Bottini, Matera, BMG, 1988; C. Barbera, E. Billia, C. Petronio, A. Virgili, M. Candeloro, F. Zarlenga, Short report on Pleistocene fauna from Grotta Lina (Marina di Maratea, Southern Italy): paleological and geochronological implications, in «Bollettino della Società Paleontologica Italiana», 1995, n. 34 (3), pp. 341-350. Per la definizione dei paleoclimi e paleoambienti, cfr. A. Tagliacozzo, I mammiferi dei giacimenti pre- e protostorici italiani. Un inquadramento paleontologico e archeozoologico, in Italia preistorica cit., pp. 76-82.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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