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Una violenza su una donna nella Maratea del 1693

Nell’archivio di Stato di Napoli si conserva la memoria di una violenza contro una donna  commessa a Maratea nel 1693. Non è solo la testimonianza un fatto di cronaca nera locale, ma di una deplorevole usanza contro le donne anticamente diffusa nel Mezzogiorno.

La gelosia lucana e l’uso dello “sfregio”.

Non tutti sanno che ancora nel XVIII secolo lo stereotipo dell’uomo geloso e possessivo era legato ai lucani. Reminiscenze classiche legavano la «Zelotypia Lucanorum» anche ai moderni abitanti della regione: lo ricorda ancora Giuseppe Maria Galanti (1743-1806), uno dei padri della statistica, nella sua Descrizione geografica e politica delle Sicilie.

Tra i modi più violenti di esercitare questo sentimento, c’era lo sfregio. Consisteva in un atto lesivo, praticato sul volto della donna “amata” (si prenda il termine con le cautele del caso). Ciò non sempre era dovuto a un moto di gelosia animato da un tradimento, reale o sospetto. Poteva semplicemente essere un “marchio” con cui l’uomo contrassegnava agli occhi della comunità la “sua” donna.

Lo “sfregio” a Elisabetta Negra.

Nel documento d’archivio citato, si registra il trasferimento da Maratea alle carceri di Salerno di tale Nicola Ruccio. Costui era reo «di haver tagliata sotto li 21 di febraro  del corrente anno [1693] la faccia con un rasoio ad Elisabetta Negra con ferirla nel collo, et in due dita della mano sinistra per causa di gelosia».

Sebbene il movente sia semplicisticamente riassunto in un moto di gelosia, dal documento stesso si evince che il Ruccio non era affatto un tipo tranquillo. Anzi, era avvezzo a violenze. Aveva anche «ferito nella mano festra a Carmino Gaeta e proprio nel dito grosso con due nervi rotti, per causa di alcune parole ingiuriose havvite tra di loro, et ancora va inquisito di haver rubbato a Ruggiero Cavafelice due canni e due palmi di Damasco faschiato giallo, e mezza dama di taffetà a colore torchino».

È interessante che fosse trasferito nelle carceri di Salerno, nonostante Maratea avesse le proprie. Potremmo ipotizzare che quel tipo di delitto fosse già abbastanza stigmatizzato da buona parte della popolazione da rendere insicuro per il reo essere detenuto nel luogo stesso del delitto.

L’attenuante “d’onore” nella legislazione italiana.

Lo “sfregio” non era una pratica esclusiva della Basilicata. Anzi, le sue ultime attestazioni si trovano nell’area urbana intorno a Napoli. 

Lo stereotipo dell’uomo geloso si è via via allontanato dai lucani per indirizzarsi  genericamente verso tutti gli italiani del Mezzogiorno o, specialmente nell’ultimo secolo, agli uomini della Sicilia. Il cinema italiano ha largamente inciso su ciò: si pensi al memorabile film Divorzio all’italiana (di Pietro Germi, 1961), ancora oggi unica pellicola italiana vincitrice dell’Oscar per la sceneggiatura originale, che ha consacrato tale stereotipo a livello mondiale.

Può sembrare incredibile oggi, ma fino a circa quarant’anni fa, la legislazione italiana riconosceva un’attenuante ai delitti d’onore. Nel Codice Penale del 1930 (il cosiddetto Codice Rocco), l’art. 587 riconosceva una pena inferiore all’uomo che uccideva moglie, sorella o figlia allorché scopriva una loro relazione illecita. Quest’articolo di legge è stato abrogato soltanto nel 1981.

 

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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