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I bambini “criminali” nel Carnevale di Maratea del 1849

Ieri si è concluso il Carnevale di Maratea, ripreso dopo l’interruzione dovuta alla pandemia della Malattia da Nuovo Coronavirus. Quest’anno l’evento ha avuto nuovi momenti e il solito successo di pubblico. 
Il Carnevale è un momento di divertimento, specie per i più piccoli. Ma un Carnevale fu tristemente memorabile per alcuni bambini di Maratea: quello del 1849. Scopriamo ora il perché.

Il memorabile Carnevale del 1849.

Durante il XIX secolo, nel periodo di Carnevale si attivava più vivacemente il teatro comunale. Posto nei pressi dell’attuale Piazza Europa, il teatro fu costruito sul finire del XVII secolo e dedicato, in principio, a rappresentazioni religiose. Gli spettacoli profani trovarono spazio solo dopo il decennio francese (1806-1815).

Uno dei fatti più memorabili del biennio rivoluzionario 1848/1849 avvenne proprio nel teatro e durante il Carnevale. Dopo l’assassinio del deputato Costabile Carducci (1804-1848) sulla spiaggia di Acquafredda, un poeta estemporaneo, tal Carlo Gallotti, si stabilì a Maratea.

Deposizione originale del 1849

L’anno dopo, «l’ultima sera di Carnevale» si legge in una deposizione di uno dei molti processi politici tenuti dalla Corte criminale di Potenza, la popolazione «si recò al teatro di Maratea per gustare un’accademia, che si disse davasi da don Carlo Gallotti. Dopo l’intervento di mezzo paese tra uomini e donne, col biglietto a paga di un carlino per ciascun individuo, il Gallotti salì sulle scene con una tale donna Agnesina sua compagnia nell’improvvisare, ed al suono dell’arpa e della chitarra francese da essi loro toccate contarono su vari argomenti prescelti da’ tanti dati da galantuomini […]. Verso l’ultimo poi le cennate persone spontaneamente dissero che volevano cantare sulla morte di Carducci, come fecero senza inviti o premura di altri. In seguito di pochi giorni s’intese cantare la stessa canzone in ogni angolo del paese […] fino a luglio ultimo».

La canzone di Gallotti.

I lettori più affezionati ricorderanno che avevo già accennato a questi eventi in un precedente articolo. Non avevo però ricordato il testo della canzone, tramandato proprio dalle carte del processo. Recitava:

Di Carducci il rio destino, / a’ tiranni appagherà, / ma di un saggio cittadino / la vendetta Dio farà. // Dell’apostata Peluso / abborrito il nome andrà / e tra popoli diffuso / com’esempio resterà. // Di Acquafredda ahimè il villaggio / di quell’empio parlerà, / che adorando un vil servaggio / ebbe a gloria l’empietà. // Da’ sicari tra i burroni / il crudel menar lo fa, / per nasconderlo a quei buoni / che il voleano in sicurtà. // Come agnello iva al macello / chi ci diè la libertà: / mirò il barbaro coltello / senza chiedere pietà. // Egli cadde sventurato! / Perché cadde Italia il sa. / Ma Carducci invendicato / no per Dio non resterà. // Se di Sapri un cittadino / franse i dritti, e l’amistà, / no goder, non dee il destino / chi ci diè la libertà. // Chi vendé l’onor, la vita, / la sua patria, e la pietà, / chi ha l’Italia mia tradita / il gran Dio lo punirà. // O Peluso, il cor d’un empio / all’Italia orror farà: / e tra i popoli diffuso / il tuo nome resterà.

I bambini “criminali”.

Purtroppo non ci è stata tramandata la base musicale della canzone. Doveva essere molto orecchiabile, perché divenne presto popolarissima tra i marateoti. Ma chiunque cantava questa canzoncina veniva denunciato alla polizia politica del regno borbonico.

Ci furono decine e decine di denunce, tra le quali quelle commutate a:

  • Domenico Rizzo, di anni 12;
  • Gaetano Limongi, di anni 11;
  • Eduardo Buraglia, di anni 11;
  • Giuseppe Spinola, di anni 9
  • Saverio Iannini, di anni 5;
  • Biagio Vita, di anni 4.

Questi “criminali” del Carnevale di Maratea del 1849 furono perseguiti per «cospirazione allo scopo di rovesciare il Governo». Il reato contestatogli era aver cantato in pubblico la canzone.

I loro nomi finirono nei registri dei processi politici al pari di coloro che lottarono per realizzare l’Unità d’Italia e che furono protagonisti dei moti a Maratea e in Basilicata. Fortunatamente per loro non ci fu alcuna condanna. Ma resta un esempio della debolezza di ogni regime autoritario, messo in crisi anche da una semplice canzone, e della forza sociale di una festa allegra e spensierata come il Carnevale.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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