Vecchia e nuova Castrocucco
L’attuale frazione Castrocucco di Maratea è nata all’incirca un secolo fa. In quegli anni la coltivazione del cedro era divenuta molto redditizia e la piana nei pressi del fiume Noce rappresentava il luogo ideale dove implementarla.
Ciò che talvolta sfugge è che il nome Castrocucco apparteneva in origine a un altro centro abitato, non dipendente da Maratea, ma con un suo territorio. I confini erano grossomodo chiusi nel triangolo disegnato dal promontorio con la Torre Caina, la foce del fiume Noce e i Cannicelli, pianoro entroterra dietro il Monte Serra.
L’antica Castrocucco.
Una terra chiamata Castrocuccu è citata nella celebre Bolla di Alfano I, arcivescovo di Salerno, del 1079, inclusa nell’elenco dei paesi della neo costituita diocesi di Salerno.
Il primo feudatario di cui abbiamo notizia è un tal Guglielmo di Castrocucco, il cui nome è tra i testimoni di un atto redatto nel 1144 a beneficio del monastero di S. Elia a Carbone.
Questi, probabilmente, era tra i capostipiti degli Alivernia, famiglia normanna che ebbe per secoli il possesso del feudo, e che dal feudo trasse poi il nome.
Le notizie su questa famiglia furono raccolte, anche per noi, nel XVI secolo dall’araldico Filiberto Campanile. «La famiglia di Castrocucco fu anticamente chiamata d’Alvernia, essendo che ella d’Alvernia Città principalissima della Francia venne in Napoli a’ tempi de’ Re Normanni, e indi per la Signoria di Castrocucco». Il feudo restò a questa famiglia anche dopo il passaggio del Regno di Sicilia dalla dinastia Altavilla alla Sveva: ne abbiamo notizia dall’unico registro di cancelleria federiciana superstite, in cui si trova la concessione, datata al 1° maggio 1240, a Rinaldo di Castrocucco della custodia di Brahalla (oggi Altomonte) in Calabria.
Tra il 1268 e il 1269, Carlo I d’Angiò, nell’indagine da lui voluta sulla fazione filo-sveva insorta alla discesa di Corradino, chiese notizie su questa famiglia e sul feudo castrocucchese, per cui sappiamo che «iudex Iohannes de Claricia iuratis et interrogatus quo iure dominus Renaldus dominus Castricucti et predecessores sui vixerunt et successerunt in predicti castro (Castricucti), dixit se scire ex auditu quod quondam dominus Guido fuit dominus ipsius castri, de quo orta est domina Alesiana et de ea suscepta est domina Politana mat [er predicti domini] Renaldi, qui omnes successerunt in castro ipso successive, sicut predicitur, paterno et materno iure, et vixerunt de eo iure Francorum» .
Al Rinaldo nominato nell’inchiesta angioina successe il figlio Rinaldello, il quale «hebbe per moglie Giovanna figliuola di Rinaldo di Turtura, la qual dopo la morte di Rinaldello fu moglie di Ruggeri di Loria, figliuolo di quel gran Ruggeri, che fu Ammiraglio di Sicilia, e d’Aragona».
Primogenito della coppia fu Giacomo di Castrocucco. Costui, coinvolto nelle vicende del Vespro, fu, il 29 aprile 1296, giudicato colpevole di tradimento da Carlo II d’Angiò e privato dei suoi averi. Il castello di Castrocucco, consegnatosi con Giacomo ai siculo-aragonesi, fu assegnato in feudo, «postquam de manibus hostium recuperabitur» a Filippo Della Porta, soldato e congiunto di Carlo II. Non sappiamo come – ci mancano le notizie in merito – ma nel 1299 Giacomo riuscì a ottenere il perdono di Carlo II, che gli restituì Castrocucco riconoscendo a Della Porta, in compenso, la cittadina di Baccarati in Sicilia.
Poi, «Giacomo oltre l’esser rimasto Signor di Castrocucco, fu anche dal Rè cinto Cavaliere secondo l’uso di quei tempi… Fu anch’egli molto ricco Barone, perciò oltre l’antica Signoria di Castrocucco comprò nella medesima Provincia nell’anno 1318 Albidona per quattrocento trenta onze d’oro da Diena d’Oppido moglie di Iezzolino della Marra Signor di Cerchiara, e di Casal Nuovo. Comprò etiandio da Pietro Peres d’Aierbo Bagnolo con la metà di Castrignano, e Petrolo in Terra d’Otranto. Possedette oltre a ciò Tomerano, Ansiano, e Cannule. Fu anche Signore della metà di Montemileto, e di Latronico donatogli da Ugone Conte di Chiaromonte con consenso del Rè. Hebbe anche il dominio di Turture, e Agete in Calabria, che egli tenne come balio di Ricciardello dell’Oria figliuolo di Ruggeri, e suo fratello uterino. Possedette etiandio molti tenitori nella medesima Provincia, e tenne sempre in sua casa gran numero di gente, e di servidori; onde nell’anno 1317 dimanda licenza al Rè di poter fare condurre in Napoli 800 tommola di grano raccolte da’ suoi tenitori di Calabria, per uso della sua famiglia. Fu moglie di costui Giacoma di Petravalida, di cui hebbe egli sette figliuoli, de’ quali furono quattro maschi, cioè Rinaldo, Francesco, Riccardo, e Teodino; & tre femmine, Saurina, Beatrice, e Giovannella».
Giacomo, forse per farsi bello anche agli occhi di Roberto d’Angiò, il figlio del re che l’aveva perdonato, nel 1324 fu anche uno dei baroni arruolati in uno dei più convinti tentativi di riconquista della Sicilia.
«Rinaldo primogenito [di Giacomo] rimase dopo la morte del padre Signor anch’egli di Castrocucco, e d’Albidona, e Bagnolo, fu Camarerie, e famigliare del Rè Roberto. A costui per esser morti gli altri fratelli senza figliuoli pervenne tutta la robba di suo padre, onde egli hebbe cura di maritar le sorelle. Così diè la prima chiamata Saurina à Pietro Ruffo Signor di Badolato discendente da i Conti di Catanzaro: Beatrice a Nicolò Signor di Santangelo ad Estas; Giovannella a Ruggeri figliuol di Goffredo di Morra ricchissimo, e nobilissimo Barone.
Giacomo secondo di tal nome Signor di Castrocucco, d’Albidona, e Bagnolo, fu unico figliuol di Rinaldo. Costui ne gli intrichi delle guerre che furono tra Carlo Terzo, e’l Duca d’Angiò volendosi dimostrare fedele di Carlo; fu da Francesco Sanseverino signor di Nardò nipote di Tomaso Conte di Marsico, e adherente del Duca spogliato di fatto della Signoria di Bagnuolo. Hebbe egli per moglie Beatrice Grappina sorella di Iezzolino, con dote di 400 onde d’oro, con cui fe Francesco, e Riccardo.
Francesco primogenito di Giacomo [II] ricuperò la Signoria di Bagnuolo da Beuabò figliuolo di Francesco Sanseverino, che l’haveva tolta a Giacomo suo Padre; ma non tardò molto a perderla di nuovo ne’ rumori delle guerre succedute tra Sanseverini, e Balsi. Ne si fermorono qui le sue sciagure; poi che per esser egli stato fedelissimo alla Regina Giovanna seconda fu dal Rè Alfonso Primo [di Napoli, V d’Aragona, n.d.r.] privato di tutti gli altri suoi beni, e il Castel d’Albidonia pervenne ad Antonio Sanseverino Duca di San Marco».
La guerra tra Renato d’Angiò e Alfonso V d’Aragona determinò la definitiva perdita del feudo per la famiglia Alvernia, ormai nota col nome Di Castrocucco. Trattenuto in un primo momento dalla Corona, nel 1470 il re Ferrante d’Aragona concesse feudo e castello a Galetto Pascale di Policastro.
L’atto di consegna, originalmente conservato all’archivio di Stato di Napoli, è andato perduto nell’incendio del 1943, insieme a gran parte dei registri dei Quinternioni, da cui si ricavavano le fondamentali notizie sulla storia del feudo. Per fortuna dello storico, verso il 1890 Michele Lacava chiese e ottenne da Bartolomeo Capasso, all’epoca direttore dell’archivio, un sunto di quei documenti per un suo libro; dai suoi appunti possiamo seguire, a grandi linee, la successiva storia del feudo.
Lacava appuntò come «nel 1470 Re Ferrante investì Galiotto Pascale di Policastro del castello diruto e disabitato di Castrocucco in Provincia di Valle di Crati e Terra Giordana, cum eius arce juribus etc. Nel 1563 il detto castello fu venduto a Giulia De Rosa dall’incantatore del Sacro Regio Consiglio per esecuzione contro Antonio Varavalle. Nel 1573 lo stesso castello fu venduto a Giovan Cola de Giordano… Nel 1603 era possessore di Castrocucco, Fabio Giordano… Nel 1680 Domenica Giordano, Baronessa di Castrocucco, legittima moglie di D. Bonaventura Salone Caracciolo donò a D.a Francesca Greco sua figlia primogenita la Terra seu Castello di Castrocucco sito in Provincia di Basilicata» .
Intanto, nel 1664 la nobildonna Francesca Greco aveva sposato Antonio Labanchi, attraverso cui questa famiglia acquisì il titolo di barone di Castrocucco e che conserverà fino all’abolizione della feudalità.
Pochissimi abitanti.
È interessante notare che nella donazione del 1470 il castello sia detto «diruto e disabitato». Evidentemente, già a questo punto l’insediamento aveva esaurito il suo ciclo vitale. Se Castrocucco era nata, quasi certamente, come presidio a controllo strategico della foce del Noce (e relativa valle, via naturale di penetrazione all’interno), le vicende della Storia avevano ridimensionato la sua funzione. E a questo si univa l’ostilità del territorio, a picco sul mare e ingrato all’agricoltura.
Per di più, l’antica Castrocucco non fu mai particolarmente popolosa. Nel Cedolario del 1276, il centro venne censito tra quelli della provincia di Terra Giordana e Val di Crati (cioè in quella che poi fu detta Calabria Citeriore) e tassato per 1 oncia, 13 tari e 16 grana: vale a dire circa 73 abitanti. In quello del 1443, poi, «Castrum Cultrum» è tra i centri i «taxa unius collecte provincie Vallis Gratis», mentre nell’elenco pubblicato nel 1609 da Ernico Bacco, a Castrocucco sono segnati 12 fuochi, ossia circa 60 abitanti.
Castrocucco sparisce definitivamente dagli elenchi delle terre abitate del Regno in conseguenza del decreto della Regia Camera della Sommaria di Napoli del 9 luglio 1667, in cui il centro è classificato «Terra data per dishabitata da’ Numeratori».
Le antiche chiese.
Nell’antica Castrocucco esistevano due chiese, di cui una era sede di parrocchia, facente parte, come quelle di Maratea, della diocesi di Policastro prima e di Cassano allo Jonio poi. Proprio dai documenti superstiti dell’archivio di Cassano si trovano le pochissime notizie sulla parrocchia castrocucchese.
Dentro il recinto del castello c’era la chiesa di S. Maria, sede della parrocchia. Non è possibile definire esattamente in quale angolo si trovasse perché i suoi resti non sono più riconoscibili. Carmine Iannini menziona «una mediocre Cappella, la quale per un muro ceduto, in dove era l’Altare, non si conosce a chi fosse dedicata. Nelle Sepolture però esistono le ossa degli antichi Defonti». (Oggi, però, non restano neppure quelle…!)
L’altra chiesa era quella di S. Pietro e si trovava a poche decine di metri fuori dalla porta del maniero. È in stato di rudere, ma le strutture murarie superstiti sono facilmente identificabili: esistono tutt’ora le mura perimetrali, a pianta rettangolare, e l’arco della porta d’ingresso. «Fuori la porta del descritto Castello – annotava Iannini – esistono gli avanzi di due altre fabriche, delle quali la prima si conosce, essere stata una Chiesa dedicata a S. Pietro, vedendosi la di lui Immagine chiaramente dipinta, con delle iscrizioni, quali non abbiamo saputo affatto interpretare. L’altra per tradizione si sa, essere stata una Taverna, per commodo della posta, e di coloro che trafficavano nelle Calabrie; giacché per ivi era la pubblica strada». Oggi non rimane nulla delle iscrizioni, mentre dei dipinti restano solo poche macchie di colore.
Oggi il castello resta abbandonato e consumato dalle intemperie, quasi a sfregio di trovarsi in un territorio ad altissima vocazione turistica con l’esigenza di destagionalizzare i flussi diversificando l’offerta.
Ufficialmente il castello non è più raggiungibile per la perdita del tracciato del sentiero: le tante foto sul web di coraggiosi (quando non temerari) trekker che lo aggiungono, però, raccontano una altra storia. Per gli storici del futuro sarà un bel da fare spiegare ai posteri come mai la sua rovina continua, in silenzio…