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A proposito di Archeologia…

Mare Internum crocevia di popoli

Nella Roma antica , dopo la conquista della Sicilia e delle famose Guerre Puniche, il termine ” Mare Nostrum ” era indicato in riferimento soltanto al mar Tirreno, dal 30 a.C. con la conquista della penisola Iberica e dell’Egitto il termine si estese per tutto il Mediterraneo. A tal proposito la denominazione per il mar Tirreno divenne: Mare Internum. Mettendo da parte questa piccola precisazione, l’obiettivo di questo articolo e degli altri che seguiranno, sarà quello di far luce sul passato, dissipando dove possibile la nebbia, e fornendo ipotesi su chi potessero essere i nostri progenitori. Cercheremo di chiarire vari aspetti della vita di questi popoli, formulando ipotesi ricostruttive grazie ai reperti trovati in loco. Vedremo le cose da una prospettiva diversa, mettendoci nei panni del detective che, con una moltitudine di indizi cerca di sbrogliare un caso.

Roma: la Regina del Mediterraneo

Come primo argomento non si poteva non parlare di lei: Roma , Regina del Mediterraneo dal 147 a.C. al III secolo d.C. Questa civiltà ha sempre avuto una grande capacità: quella di assimilare e di migliorare le conoscenze e i traguardi tecnologici delle potenze sottomesse. Infatti prima della sconfitta di Cartagine , Roma era vittoriosa sui campi di battaglia terrestri ma risultava spesso sconfitta in mare. Grazie all’invenzione dei Corvi (ponti levatoi utilizzati per arpionare la nave nemica e trasformare uno scontro navale in uno terrestre) la potenza navale romana non venne più compromessa. (tranne in piccoli casi di atti di pirateria, ma questa è un ‘altra storia). La supremazia era tale da far fiorire il commercio e ridurre le distanze tra le fiorenti città del vasto Impero. In tal modo il rapporto con il mare cambiò: trasformando un elemento naturale in un’immensa autostrada dove uomini e merci vedevano scorrere il loro destino.

Spaccato di una Trireme Romana con in evidenza il ” Corvus”.

Fasciame, sudore e gloria

Tutti sanno che la potenza dell’antica Roma si basava sulle legioni, i bene armati e organizzati reparti di fanteria. Questo potrebbe portare a credere che la civiltà romana fosse una potenza terrestre, ciò è vero solo in parte, poichè la moltitudine di relitti di navi che giacciono sommersi lungo le rive del Mediterraneo e la consistente documentazione artistica simbolica tramandata in tema navale, stanno ad indicare che la marina romana ha costituito la forza portante di un sistema statale, economico, sociale, organizzativo, operativo che non trova riscontro se non in epoche a noi più vicine. Ad esempio la quantità di grano necessaria a sfamare gli abitanti della capitale arrivava quasi tutta dall’Egitto, dalla Sicilia e dalla Spagna. Servivano capacità orgaizzative , un sistema di rotte ben stabilite e navi capaci di affrontare le acque del Mediterraneo. Ma focalizziamo la nostra attenzione sulle navi. Molti le conoscono dai film del genere “Peplum” , o meglio conosciuti Kolossal come BEN HUR o CLEOPATRA, dove navi si scontrano a colpi di baliste e speronamenti lungo le coste Campane ( location: Ischia, Procida). Ma come erano fatte? Cosa potevano traportare? Come avveniva la navigazione? Ecco ora cercheremo di spiegare questi aspetti più specifici.

Le navi romane essenzialmente erano di due tipologie di base: le grosse navi da carico dette “Onerarieae“, utilizzate per i trasporto di merci e le navi da battaglia denominate ” Naves Longae“, lunghe e affusolate con più file di remi per una maggiore velocità e manovrabilità. Esistevano oltre a queste altre tipologie: Navi “Attuarie” adibite al trasporto celere di truppe, “Ippagoghe” adibite al trasporto dei cavalli , “Celoci” ai collegamenti tra città, “Speculatorie” volte all’esplorazione di zone ignote. In generale le navi romane erano più larghe dell’usuale, spesso oltre 1/4 dell’ intera lunghezza, questo consentiva l’avvicinamento alla costa e la possibilità di sbarcare uomini e materiali più rapidamente possibile. Disponevano di una cabina a poppa riservata al comandante e ai suoi ufficiali, potevano avere delle strutture torreggianti che venivano montate solo in caso di battaglia e che, con i loro colori determinavano a quale flotta o quale reparto appartenesse la nave. Le vele solitamente erano bianche o grigie, cambiava l’Ammiraglia che aveva vele di color porpora. Di seguito vedremo le tipologi di navi da battaglia, la loro capacità di carico e velocità:

  • BIREME : chiamata così poichè disponeva di due file di rematori, venne utilizzata fin dal V secolo a.C. e rimase invariata nel corso del tempo. Lunga 23 metri e larga circa 3, aveva una vela quadrata e riusciva a raggiungere moderate velocità
  • TRIREME: chiamata cosi per le tre file di rematori, dotata di un rostro per speronare le navi nemiche e ponti per arpionarle. Disponeva di una balconata lungo i bordi praticabile ai combattenti, a poppa si vede la cabina del comandante e dietro le indegne della flotta. Il suo schema deriva da modelli greci modificati e snelliti, lo scafo misurava 40 metri di lunghezza e 5 in larghezza, pesava dalle 240/250 tonnellate. Poteva ospitare un equipaggio di 200 uomini suddivisi in: 156 vogatori, 30 milites per l’arrembaggio, 15/16 tra ufficiali e sottoufficiali. Essa era la nave da guerra più comune.
  • QUADRIREME: Il nome deriva sempre dalle file dei rematori, nata durante la prima guerra Punica venne utilizzato solo dopo il principato di Augusto fino a tutto il V secolo d.C. Disponeva di 240 rematori , 15 marinai, 120 fanti di marina in armatura. Montava due corvi uno a prua e una a poppa, diverse armi d’assedio sul ponte come baliste e piccoli onagri. Inoltre aveva due torrette rialzate dalle quali gli arcieri facevano strage dei nemici.

Esistevano tuttavia altre tipologie di navi da guerra come la “Quinquereme” , la “Esareme“, tutte dalla forma molto simile , cambiava solamente il numero di rematori e di equipaggio vista l’ imponente mole. E’ importante citare però le “Liburnae” specifica classe di nave utilizzata dai pirati Liburni, più leggera e con maggiore manovrabilità. Combattendo contro i pirati Marco Agrippa (fautore del Pantheon a Roma) capì che le loro navi erano molto veloci e ne carpi lo schema costruttivo; furono l’arma segreta di Ottaviano (non ancora Augusto) durante la battaglia di Azio.

  • ONERARIA: E’ la tipica imbarcazione da trasporto dell’era antica, ben conosciuta per la quantità di relitti. Il suo utilizzo copre un arco di tempo che va dal  III sec a.C. alla tarda età imperiale, certamente tra i suoi antenati troviamo il Gaulos Fenicio, simile per dimensioni. Servivano a connettere per mare tutte le parti dell’Impero, col trasporto di svariati materiali, animali, piante e merci varie spessissimo stoccate nelle anfore. Vi erano inoltre molte sottoclassi di navi da trasporto ma, non sono stati trovati significativi reperti a confermare le molte immagini derivanti da disegni, mosaici, bassorilievi e numismatica.

Da semplice argilla a scrigno di tesori

Dopo questa premessa, vedremo nello specifico ciò che si trova nei nostri meravigliosi fondali. Lungo la nostra costa, precisamente vicino l’isolotto di Santo Janni, il tempo ha restituito qualche cosa di unico e prezioso: un relitto. Ritrovato a seguito di una campagna di scavi archeologici subacquei e non, voluti dal MIBAC nella prima metà degli anni 80, fa capire l’importanza delle rotte commerciali romane e il loro sviluppo sul territorio. Ipoteticamente questo relitto è il frutto di una disattenzione da parte dei marinai, vista la vicina secca della “Giumenta“, oppure il tragico epilogo di una forte tempesta. Dalla lavorazione del fasciame della nave e dalla tipologia delle anfore e ancore trovate vicono ad esso si è potuti risalire alla datazione e alla collocazione nel primo impero. La vastità e il numero di ancore e anfore ritrovato nella zona antistante all’isolotto ne ha fatto uno dei giacimenti più grandi del Mediterrano. La prima classificazione tipologica si deve ad H. Dressel, che nel 1879 schedò le iscrizioni presenti sulle anfore rinvenute a Roma nel deposito del Castro Pretorio, nei decenni successivi sono state aggiunte tipologie a seconda dei giacimenti dove venivano ritrovate. A Maratea sono state trovate molte anfore ed ancore , raccolte in una esposizione permanente curata dalla soprintendenza dei Beni Culturali e dalla curatrice del catalogo della mostra Paola Bottini.

Resti delle anfore nei pressi di Santo Janni- Sulla rotta della “Venus”: storie di navi, commerci e ancore perdute ; catalogo della mostra 1991 – Scorpione Ed., 1993

Come si evince dalle immagini , questo rappresenta un immenso tesoro per il nostro territorio, vista la molteplicità di elementi con i quali confrontarsi. Questi sono i fatti, ma la nostra visione deve arrivare da altre prospettive per avere un quadro generale più ampio e preciso. Proviamo a chiederci come si caricavano queste navi? Come si prevenivano i danni dovuti a mare forte e tempeste? Esisteva un’assicurazione per il carico? Quanto durava un viaggio?

I viaggi , i carichi e gli imprevisti

I mezzi per caricare queste navi non mancavano, come si vede in molte raffigurazioni la maggior parte del carico avveniva a mano (portando il carico in spalla facendo molta attenzione a non farlo cadere, lavoro che facevano gli schiavi) o tramite argani posizionati sui moli portuali. Dalle fonti scritte sappiamo che il limite inferiore delle navi di media capacità era di 10.000 “modii” di grano (circa 70 tonnellate) ma, dai ritrovamenti sottomarini di questi anni, si è scoperto che il carico medio di queste navi era di circa 3.000 anfore (cioè circa 150 tonnellate). Esistevano anche navi chiamate “muriophoroi” (traducibile in “portatrici di 10.000 anfore, cioè circa 500 tonnellate) considerate le più grandi navi del periodo imperiale, il cui limite minimo era fissato dalle leggi in 50.000 “modii” cioè circa 330 tonnellate. Per quanto riguarda la navigazione: con vento favorevole, si può stimare che la distanza percorsa in una giornata diurna di navigazione equivalesse a 700 stadi per una velocità media dell’ordine di 4 e 5 nodi. In caso di traversate particolarmente rapide, si potevano raggiungere anche i 6 nodi. Plinio ci fornisce alcuni esempi: due giorni per andare da Ostia in Africa (capo Bon), sei giorni per raggiungere Alessandria attraverso lo Stretto di Sicilia, sette giorni per attraversare tutto il Mediterraneo occidentale da Cadice a Ostia. Ma i viaggi potevano essere molto più lunghi: Strabone ci racconta di una traversata Spagna-Italia durata tre mesi. Per quanto riguarda la sicurezza lo scafo era protetto, nell’opera morta, da una foderatura con lastre di piombo che lo preservavano dall’azione delle maree. Inoltre il carico era messo in opera come un vero e prorio puzzle, con i pezzi ad incastro e resi sicuri dalla sabbia in modo tale da restistere al rollio delle nave. Per quanto riguarda l’assicurazione del carico , per alcuni i romani non esercitavano tale pratica. Molti altri invece ipotizzano che il foenus nauticum fosse una forma di assicurazione, ma si trattava di un mutuo aleatorio: era l’anticipo consegnato al capitano della nave o al proprietario nel caso la spedizione fosse andata in porto. 

Il sole sta per tramontare

Il sole cala davanti al nostro orizzonte e l’ancora sciovola lenta sul fondale, è il momento di accendere i fuochi e riposarsi. Questo primo viaggio si è concluso, molti altri ve ne saranno, altre temi , altri argomenti vi aspettano. Tenete gli occhi piantati sull’orizzonte.

Francesco Maria Monterosso

Francesco Maria Monterosso

Sono Francesco e nella vita faccio molte cose, forse troppe. Studio Archeologia e Storia, nel tempo libero mi diletto in progetti di Archeologia Sperimentale, Rievocazione Sorica e Divulgazione con scopo didattico.

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