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Nuovi appunti sulla chiesetta della Madonna degli Ulivi

Esattamente un anno fa pubblicavo degli Appunti storici sulla chiesetta della Madonna degli Ulivi, lavoro che ho ripreso e rivisto lo scorso maggio per essere pubblicato sul nuovo Il Giglio di San Biagio, riportato alla vita per lodevole iniziativa del nuovo parroco di S. Maria Maggiore, don Luigi.

È quello un lavoro di ricerca condotto principalmente sui documenti inediti che ho avuto la fortuna di poter visionare, negli scorsi anni, nell’archivio parrocchiale di Maratea e in varie biblioteche di Roma. È senza dubbio vero che il lavoro di ricerca sui documenti è imprescindibile: deve però essere supportato dalla ricerca sul campo, salvo accorgersi – com’è successo a me oggi – di aver scoperto ciò che era nascosto ed essersi lasciati sfuggire l’ovvio!

Stamattina, durante la funzione religiosa a cui ho assistito, ho per la prima volta notato la strana fisionomia dei resti dell’affresco che copre la parete del presbiterio. Nei libri dedicati alle chiese di Maratea e nei capitoli dedicati a questo eremo, così come nelle schede ministeriali che ho potuto vedere, si parla degli affreschi del Pantocratore (nell’abside), della Madonna col Bambino, di S. Caterina d’Alessandria e dell’altra Madonna non meglio identificabile (ai suoi lati), ma quasi mai – salvo mi sia sempre sfuggito – del fregio superiore.

La cosa notabile sono le tracce di una sovrapposizione di due pitture di epoche e stili diverso. La prima, meglio visibile, pare della stessa epoca di un altro dipinto (una finta nicchia a destra della porta d’ingresso) e sembra rappresentasse due angeli che reggono una grande nuvola o un grande telo, sopra cui, probabilmente, era raffigurata la «Imago Beata Verginis» di cui parla la visita episcopale del 1601. Al margine destro del frammento a sinistra, invece, si scorge, sotto la pittura più moderna, un fregio più semplice, con una banda bianca a contorni rossi che – sembra – corresse anche sulle pareti laterali del presbiterio.

Il fatto in sé stesso non sembrerebbe meritare molta attenzione. Il punto è che, se queste ipotesi potessero passare l’esame di uno storico dell’arte – quale io non sono – riuscirebbero a spiegare un piccolo mistero nel quale si incappa quando si va a studiare, come feci io un anno fa, la storia di questa chiesa: perché nei verbali delle visite episcopali e nei documenti dal XVII secolo in avanti non si parla mai degli affreschi ora visibili? La spiegazione sarebbe che, in epoca posteriore al 1601, un lavoro di restauro ha interessato la chiesa – sicuramente ben più antica di quattrocento anni – e che in questi lavori è stata creata una pittura che ha coperto le tracce di quelle precedenti, rinvenute nell’epoche successive. Se così fosse, la mezzaluna superiore della nicchia che ora appare, bianchissima, sopra l’abside, e che serviva a conservare la statua della Madonna – la «imaginem ex rilivio [sic] dicti B. V.» di cui parla la visita del 1678 – sarebbe stata creata quando la pittura del Pantocratore era già acefala (altrimenti non si spiegherebbe la sua posizione) e quindi coeva a questa nuova decorazione.

Sono però solo ipotesi. Spero che queste righe possano interessare alla questione persone più qualificate a cui offro, nei limiti delle mie capacità, le informazioni già in mio possesso per aiuto.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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