San Basilio e le antiche chiese del Castello di Maratea
Oggi 2 gennaio si ricorda San Basilio Magno.
Non tutti sanno che nell’antica Maratea Castello, sulla cima del monte San Biagio, esisteva una chiesa dedicata a questo santo. E non era la sola.
Partiamo allora alla loro scoperta…
Due muri e un abside
I ruderi della chiesa di San Basilio, visibili a metà strada tra Palazzo Ventapane e la Grotta dell’Angelo, consistono oggi nei resti di due mura perimetrali e, al lato ovest, di un frammento a semicerchio, forse parte dell’abside.
Purtroppo, lo storico non ha a disposizione nessun documento per ricostruire la storia di questa chiesa. Paolo D’Alitti (1676-1728), il primo scrittore sulla storia di Maratea a noi conosciuto, scrive che a Maratea «eravi l’antica Parochial Chiesa dedicata a San Basilio Patriarca Greco». Citazione breve, ma ricca di importanza, perché ci tramanda che la chiesetta fu un tempo la parrocchiale, la più importante del paese.
La dedicazione della chiesa a San Basilio ha dato adito, in tempi più recenti, alla teoria secondo cui Maratea sia stata abitata dai cosiddetti “monaci basiliani”. Seppure sia innegabile che a Maratea, nei primi secoli del medioevo, sia stata forte la presenza di eremiti italo-greci, non bisogna dimenticare un passo (a cui ho già accennato) degli studi a riguardo della bizantinista Vera Von Falkenhausen, che ci ricorda che «il monachesimo bizantino «non era affatto “basiliano”. Benché i tratti di S. Basilio fossero copiati senza tregua, i canoni della santità monastica si basavano piuttosto sugli ideali eremitici dei padri del deserto e sul modello di S. Antonio Abate, il monaco significava – almeno in teoria – fuggire il mondo con tutti i suoi lussi materiali e intellettuali, ritirarsi nelle zone più remote e inaccessibili e praticare, quasi in gara con gli altri, una ascesi severa». Occorre quindi tenere presente che «l’ordo sancti Basilii è una creazione occidentale, inventata, a quanto pare, nella cancelleria di papa Innocenzo III per distinguere monasteri greci dell’Italia Meridionale e della Sicilia da quelli che erano ordinis sancti Benedicti»: morale della favola, il termine “basiliano” trae in inganno. Già se ne era accorto un altro storico di Maratea, mons. Domenico Damiano (1891-1969), che riteneva «da escludersi che in Maratea sia esistito un convento di Basiliani per il solo fatto che vi sia una Cappella dedicata a S. Basilio»: per la storia serve ben altro che un nome!
Non sappiamo perché e quando la chiesa venne abbandonata. Sappiamo, tramite Carmine Iannini (1774-1835), rettore del santuario di San Biagio dal 1804 alla sua morte, che «la Forma di Chiesa non conserva, per colpa del Maestro Muratore Biase Iasello del fù Antonio, il quale nel decorso dell’occupazione militare», cioè il decennio dal 1806 al 1815, «abusandosi pur troppo, ne dimezzò le Muraglie, e le convertì in un Giardinetto, per commodo [sic] di sua Casa». Auguriamo all’anima del povero Iasello di essersi goduto quel giardino…!
Una chiesa ancor più antica
Ma San Basilio non fu la prima chiesa costruita dai marateoti del Castello. Prima ci fu Santa Maria.
La chiesa, di cui oggi non rimane nessuna traccia, si trovava vicino la porta principale di Maratea Castello, a cui diede il nome di Porta Santa Maria.
Quando sappiamo di questa chiesa sono le notizie raccolte ancora da Carmine Iannini durante il suo parrocato, cioè che «nel luogo tra i Palazzi, un tempo di proprietà de’ Signori Leo, e Lebotti, si vedono gli avanzi di un’altra chiesa dedicata alla Santissima Vergine Gran Madre di Dio; ed anche di presente vi si dice Strada Santa Maria. Da questa Chiesa cadente un tempo: non esistente oggi, mi dicevano Gennaro Iasello, alias Travaglio, che di anni novantadue morì a 18. Giugno 1805, Fortuna Fiorillo, alias di Tabanello, che morì di anni settantasette a 12. Dicembre 1805, Macario Martorella, alias Pittella, che di anni ottanta morì a 10. Agosto 1810, Rosalia Pappaterra, che di anni ottant’otto morì a 17. Novembre 1810, Giovanni Antonio Chiappetta, che di anni novantatré morì a 21. Agosto 1811, Teresa Labruzzo, alias di Basilisco, che di anni centocinque morì a 25. Settembre 1811, che sapevano dai loro Bisavi; e questi dai loro rispettivi antenati, che dalla mentovata Chiesa di S. Maria, si presero molti oggetti, e tra gli altri una Statua di finissimo marmo, rappresentante Santa Maria Assunta in Cielo: quale Statua si conserva dentro di una Nicchia sul Coro de’ Preti, nella Chiesa Parrocchiale di Maratea inferiore; nella quale si portarono tutti gli altri di sopra indicati oggetti. […] La predetta Chiesa non appariva più, quando nell’anno 1804. lo scrittore venne da Napoli al Servizio della Chiesa di S. Biase, in qualità di Parroco della stessa, ed abitò nel Palazzo de’ Signori Lebotti; ed il fù suo Padre Giuseppe Iannini, per suo divertimento, fece ridurre quel piccolo Spiazzo in Giardino. Stimando Favola il racconto de’ vecchi, non prestava credenza, all’esistenza della Chiesa quivi un tempo, come si predicava. Uscì da tal’errore nell’anno 1806. quando i Francesi rasero le muraglie della Città, e si scoprirono delle Sepolture piene di ossa degli antichi Defonti; che dallo stesso furono fatte poi interrare, tanto richiedendo la pietà, verso di coloro, che un tempo esistettero nel Mondo: però nel darsi un qualche riparo alla cagionate rovine, stimò far restare in parte le sepolture scoverte, come tuttavia lo sono, acciò non se ne fosse più perduta la memoria, ed avendone contezza i recenti nati fossero in grado di tramandarla, ai loro tardi nipoti».
Se interpreto bene le indicazioni di Iannini, si potrebbe localizzare con maggior precisione la chiesa in quello che attualmente è il giardinetto alle spalle di Palazzo Lebotti (in un recente passato usato come casa canonica dagli Oblati.).
San Nicola e i Santi Quaranta
Sappiamo della loro esistenza ancora grazie a Carmine Iannini, che ricorda come «al Capo di due Strade vi erano due Chiese una dedicata ai Santi Quaranta Martiri, e l’altra a S. Nicola Vescovo di Mira». Già alla sua epoca «delle stesse n’esistono solo due Sepolture, e la denominazione alle Strade, che si dicono di Santo Nicola, e Santo Quaranta. Nell’anno 1813. stimammo del nostro obligo farle molto bene riempire di Sassi, acciò i Porci, come aveavno incominciato a praticare, non avessero avuto libero il Campo, di continuare a contaminarle».
Nel corso del tempo il riempimento di sassi operato da Iannini si perse, rendendo impossibile localizzarle nell’ammasso di ruderi di Maratea Castello. Anche chi conosceva bene il posto, come il già nominato mons. Damiano, scriveva che «né dell’una né dell’altra si sa il sito dove siano esistite». In un documento di un archivio privato, però, si dice che il rione del Castello di nome SS. Quaranta si trovava a poca distanza dal Santuario, il che fa presumere che quella chiesetta si trovasse nelle vicinanze.
La cappella di Palazzo Ventapane
Palazzo Ventapane, che ho già nominato, è quel grandioso palazzo – il più grande di Maratea Castello – che dalla via di Massa si distingue per mole e per le sue finestre quadrate nella loggia esagonale che guardano verso Marina di Maratea.
Questo grandioso edificio aveva innumerevoli stanze e una piccola cappella di uso privato. All’epoca di Domenico Damiano, «in questo palazzo marchesale, si osservava la Cappella vescovile con degli affreschi» oggi scomparsi.
Una preghiera per ricordare
Queste, insieme alla cappellina di Sant’Antonio, poggiata alle mura difensive e distrutta nel 1806 da Alessandro Mandarini (1762-1820) per tema che i francesi potessero servirsene per attaccare meglio, e la cappellina del Sambiasello, di cui mi riprometto di scrivere in futuro, completano il quadro delle chiese di Maratea Castello. Non solo la Basilica di San Biagio, quindi, c’era sulla cima del monte!
Esistono da decenni progetti dei più disparati per recuperare il patrimonio edilizio dell’antica Maratea. C’è chi propone un bellissimo parco archeologico – e quanto ne avrebbe bisogno il turismo di Maratea e della Basilicata! – chi una spietata ricostruzione (non sappiamo quanto fedele) delle case per uso ricettivo, chi una via di mezzo tra le due.
Oggi è difficile immaginare una risoluzione in tempi brevi della questione: l’epoca dei progetti sembra destinata a durare ancora!
Voglio solo augurarmi che ci si ricordo che quelle rovine, lassù, non sono tutte uguali. È viva preghiera, la mia, che coloro che progetteranno il futuro di quell’angolo di Maratea non dimentichino il suo passato, in cui alcune di quelle mura erano consacrate al culto e alla sepoltura dei morti… e che non vorremmo un giorno diventassero un chiosco di granite…!