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Da quanto tempo si celebra la festa di S. Biagio?

Da una decina d’anni il manifesto dei festeggiamenti in onore di S. Biagio indica il numero di edizioni della festa. Per il 2021, ancora falcidiati dalla pandemia, c’è scritto 345° anno.

Ma le cose stanno così o è un calcolo sbagliato?

459 anni fa.

Nel 1562 papa Pio IV concesse l’indulgenza plenaria a coloro che si recavano in pellegrinaggio a Maratea Castello per la festa di maggio. Questo indica che la primitiva festa si svolgeva già ben 459 anni fa. Si trattava di una festa più corta, tenuta solo il sabato precedente la prima domenica del mese e nella domenica stessa. Si svolgeva unicamente sulla cima del monte e consisteva nel momento in cui pellegrini giunti da ogni dove convenivano nel santuario di Maratea.

345 anni fa.

Giovedì 21 maggio 1676 una banda di centossessanta banditi assalì Maratea Borgo (attuale centro storico). I banditi presero di mira le case dei cittadini più facoltosi, assediandole per circa quattro ore. Allarmato dal clamore che proveniva da basso, il presidio di Maratea Castello li allontanò dal paese, spaventandoli con colpi di cannone e disperdendoli nella campagna.

Nella ritirata, però, i banditi presero tre ostaggi: Giuseppe Mari, Giovanni Loreto de Fortuna e il sacerdote Biase Ferraro (1650-1726). «Dopo tre giorni però ritornarono – racconta Iannini – senza offesa veruna; ed il Sacerdote Ferraro riferì, che in tanto non erano stati uccisi, in quantocché que’ Scellerati, atterriti ne venivano, come dicevano, da un Vecchio venerando che vedevano ogni qual volta, il pensiero ne lo suggeriva: che lo stesso Vecchio, veduto avevano, con un bastone tra le mani, col quale gli perseguitava, e perciò si erano dati precipitosamente alla fuga: che nella notte immediatamente al Conflitto, avevano veduta anch’essi la montagna di S. Biase circondata di fuoco acceso, ed al risplendere delle fiamme un grosso Esercito».

La statua sul poggio di Capo Casale nella festa del 1932.

Il loro ritorno, la morte di un solo cittadino nel violento attacco e il recupero di tutta la refurtiva vennero letti come fatti miracolosi. Perciò la popolazione del Borgo deliberò di celebrare una processione penitenziale il 21 maggio di ogni anno per ringraziare il santo patrono, che veniva additato come il salvatore celestiale degli ostaggi.

Dai bilanci seicenteschi si rileva che la processione del cero si protrasse almeno fino alla fine del XVII secolo, nonostante dal 1695 fosse stata posta in essere la nuova festa della seconda domenica di maggio. Successivamente, ma non si sa quando di preciso, la tradizione si perse.

326 anni fa.

Qualche mese dopo il catastrofico terremoto dell’8 settembre 1694, che mieté migliaia di vittime nelle vicine province ma lasciò Maratea illesa, i fedeli e il clero della cittadina lucana concepirono l’idea di una nuova e più grande celebrazione in onore del santo patrono. Il sisma seicentesco venne visto come l’ultimo dei traumatici eventi che avevano turbato il Regno di Napoli in quello e nei secoli precedenti e da cui Maratea era stata miracolosamente preservata.

Il frontespizio dell’opuscolo che tramanda l’atto istitutivo della festa.

I marateoti attribuirono all’intercessione celeste del santo la ragione di queste grazie. Per questo il pubblico parlamento di Maratea inferiore, cioè l’organo deliberativo di una delle due municipalità della cittadina, convocato dal sindaco Federico Riccio il 10 aprile 1695 stabilì di modificare la dinamica della festa: «per tutte queste cose e per altri innumerevoli meriti e benefici ricevuti i nostri avi venerarono sempre come singolar Patrono, noi uniamoci ad essi e correggiamo ciò che trascurarono per ignoranza, protestando che in ogni anno nella Domenica prima o nella seconda dopo la festa plenaria di Maggio, con vera contrizione e con tutta solennità si dovrà portare processionalmente per tutta questa città il Simulacro del nostro S. Protettore, e, in segno di dominio e di riconoscenza, per ciascun anno ed in perpetuo».

Negli ultimi tre secoli il protocollo della celebrazione ha subito alcune modifiche, la più importante delle quali è la copertura del simulacro con il panno rosso per i motivi spiegati in un altro articolo.

Oggi cosa festeggiamo?

La primitiva festa di S. Biagio svolta a Maratea nel mese di maggio si teneva solo al Castello. Non sappiamo se si svolgesse una qualche processione, essendo, prima del XVII secolo, molto più diffusa la forma devozionale del pellegrinaggio. Sebbene l’attuale parta dallo stesso periodo, questa festa non è propriamente quella che facciamo oggi.

L’ultima fortuna del pellegrinaggio fu appunto la festa del 21 maggio. Ma questa festa, relativamente presto, si perse. Essendo così  legata all’attacco dei banditi è probabile che abbia perso di senso con l’esaurirsi della generazione che aveva vissuto il trauma dell’evento.

Nel 1695, invece, la forma devozionale della processione trionfò sul pellegrinaggio. La statua, costruita nella sua prima forma argentea tra il gennaio il febbraio del 1700, divenne la protagonista assoluta dei festeggiamenti. La nuova festa ideata dai marateoti dell’epoca non era  qualcosa di nuovo, bensì il perfezionamento della primitiva festa al Castello. Nulla a che fare con il pellegrinaggio del 21 maggio, tanto è vero che per qualche anno quella celebrazione si tenne parallelamente alla nuova festa: prova schiacciante che l’una e l’altra nulla avevano in comune.

Inoltre, la data: è dal 1695 che la festa si svolge dal sabato che precede la prima domenica di maggio alla seconda domenica del mese. Negli ultimi 326 anni, il 21 maggio è stata per Maratea una data qualunque.

Mi pare allora chiaro che sia l’anno 1695 il termine post quem su cui basare il conteggio dell’edizioni della festa.

Spero che presto, magari già dal 2022, si possa pensare di correggere l’errore.

Bibliografia.

Per chi volesse approfondire la storia della festa di S. Biagio di maggio, su Amazon è disponibile il mio libro Divo Blasio. Ricerche storiche e sociologiche sul culto di S. Biagio di Sebaste a Maratea.

Luca Luongo

Luca Luongo

Io sono Luca e quella a lato è la mia faccia quando provo a rileggere un mio articolo. Nella vita racconto storie: a teatro le invento io, qui le studio dai documenti.

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